giovedì 14 gennaio 2016

Jack Thomas,da numero 7 a ...007

Jack Thomas con la divisa del Newcastle
Come ala destra era a malapena un discreto giocatore. Ma se c'è una cosa che si può dire senza paura di sbagliare sul conto di Jack W.Thomas (Sacriston, County Durham, 189? - unknown place, 196?) è che aveva senso pratico. 
Lo dimostrò quando il destino lo chiamò alla prova più severa, quella che valeva una vita intera, nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Come giocatore, Thomas, era cresciuto nello Spennymoor United, alternando l'attività calcistica con quella di minatore, per passare poi al Brighton & Howe Albion, divenne giocatore professionista con il Newcastle United, per cui fu ingaggiato nella stagione 1911-12. Disputò in bianconero una sola partita (1-1 con il Manchester City) e poi tornò nella Northern League a vestire nuovamente la maglia dello Spennymoor. Una carriera abbastanza anonima, che infatti non gli impedì di ricevere la cartolina precetto per il fronte, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Dislocato sul fronte occidentale, nell'ottavo battaglione Durham Light Infantry, in supporto all'esercito francese, nel 1915 cadde prigioniero allorchè la sua trincea fu conquistata, nel corso della Seconda Battaglia di Ypres, da un attacco in forze dei tedeschi, superiori per numero e mezzi. Insieme agli altri pochi superstiti, fu caricato su un carro bestiame e inviato, con un viaggio in ferrovia che durò oltre 36 ore, a un campo di prigionia in Germania, dove visse alcuni mesi fra stenti e privazioni.
Jack Thomas con la divisa dell'esercito
Qui le cronache riportano che abbia cercato una prima volta di darsi alla fuga. Insieme ad alcuni francesi (fra trincee e prigionia aveva imparato piuttosto bene la lingua) aveva scavato un tunnel con mezzi di fortuna, sfruttando le proprie conoscenze di minatore, ma poco prima che la galleria fosse completata per la fuga, il piano venne scoperto. Fu allora trasferito in un altro campo di prigionia, più a nord. Qui, nottetempo, tentò nuovamente la fuga insieme ad altri quattro prigionieri, ancora una volta di lingua francese, con il solo aiuto di una bussola, che aveva ricevuto nascosta in una fetta di torta che gli era stata inviata dall'Inghilterra. In qualche modo i cinque riuscirono a raggiungere la vicina Olanda e da lì Thomas trovò modo di riparare in Inghilterra.
Ma le disavventure non erano finite: appena rimpatriato fu arrestato, imprigionato e interrogato dal controspionaggio, che temeva che la sua evasione fosse stata in realtà favorita dai tedeschi, in cambio del suo impegno a passare informazioni. Realizzato che si trattava di una vera fuga, e colpiti dal suo senso pratico, fu nuovamente arruolato, ma stavolta con un ruolo di spia. Approfittando della sua conoscenza del francese, fu inviato in Francia come agente con compiti di spionaggio e controspionaggio, sotto la copertura di un impiego da portuale. Da numero 7 del Newcastle a... 007 al servizio di sua Maestà.
Le sue tracce si perdono con la fine della guerra. Di certo non tornò a fare il calciatore: probabilmente, la sua carriera nei servizi segreti proseguì progressivamente. A fare luce sulla sua storia, è stato lo scorso anno lo storico inglese Paul Joannou, che al momento sta lavorando ad un libro sulle vicende dei giocatori del Newcastle che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale.

(Ndr: stavolta il post non è risultato di un'indagine, ma poco più che mera compilazione. La fonte principale è questa. Le informazioni sono state integrate con alcuni dati reperiti su siti calcistici inglesi)

mercoledì 6 gennaio 2016

Il vangelo secondo gli Spurs

Casey, Kirby e Curley "in alta uniforme"
Il Tottenham non è una squadra, è una fede. Almeno così pensavano Peter Casey, David Kirby e Michael Curley, tre tifosi degli spurs che, per due anni, dal 1961 al 1963, difesero la loro squadra e ne "predicarono il verbo" viaggiando da un campo all'altro vestiti da santoni, con lunghe tuniche bianche e barbe finte, sostenendo che "Spurs were angels", gli Spurs erano stati angeli.
Ma quando? E perchè?
La eccentrica reazione dei tre supertifosi ebbe origine nel settembre 1961, a cavallo fra il match di andata e quello di ritorno del primo turno di Coppa dei Campioni, che vedeva gli Spurs opposti ai polacchi del Gornik Zabrze.
A chi guarda gli annali, il doppio turno presenta una singolare disparità di risultato: 4-2 all'andata per i polacchi, 8-1 per gli inglesi al ritorno. E allora torniamo idealmente al 13 settembre, a Chorzow, dove va in scena una grande sorpresa. Il Tottenham, nelle cui fila militano alcune glorie del calcio inglese (l'attaccante Bobby Smith, il centrocampista White e soprattutto il leggendario Blanchflower, per almeno un'ora di gioco viene letteralmente annichilito dai sorprendenti polacchi. I "minatori" sono squadra di tutto rispetto e hanno almeno tre autentici campioni: i centrocampisti Musialek e Kowalski e l'attaccante Pohl. 
Il manifesto della gara di andata
Spinto dalle grida di 80.000 spettatori, il Gornik va in gol dopo una manciata di secondi con Lentner, raddoppia con Musialek e addirittura chiude il primo tempo 3-0 con la terza rete segnata da Wilkzek. A inizio ripresa, Pohl porta i polacchi sul 4-0 e sembra finita. Ma non lo è: Blanchflower incita i compagni a metterla sul piano fisico e gli Spurs obbediscono: ne fanno le spese Musialek e Kowalski, che lasciano il campo per due pestoni alle caviglie e il portiere Kotska, che si prende una gomitata da Dyson e ci rimette uno zigomo, ma resta fra i pali (anche perchè i cambi sono finiti). In quella situazione, Jones e Dyson riducono il passivo fino al 4-2 finale. A fine partita i commenti dei polacchi sono univoci: secondo il difensore Oliszlo, "Abbiamo sperimentato lo stile inglese del gioco. Tre dei nostri: Musialek, Kowalski e Kotska ne hanno fatto le spese". Pohl rincara la dose: "Gli inglesi non si sono rivelati i gentleman che siamo abituati a vedere. Siamo molto delusi loro atteggiamento".

Il Tottenham nel 1961

Janusz Mlynarski (medico del Gornik) invece traccia un bollettino medico degno di una rissa da saloon: "Dopo la partita sono andato con Musialek e Kowalski al Pronto Soccorso. Musialek ha un brutto colpo alla caviglia che ha provocato un vasto ematoma interno alla gamba destra. E' stato necessario un piccolo intervento chirurgico per rimuoverlo e la ferita è stata cucita con punti metallici. In Kowalski è stato riscontrato un versamento alla caviglia destra, con tensione della capsula articolare. Entrambe le lesioni sono risultato di calcioni affibbiati da un avversario. Non credo che Musialek possa giocare a Londra, mentre per Kowalski se la capsula non ha riportato lesioni c'è qualche speranza. Dovremo verificare dopo un esame ai raggi X. Il portiere Kotska ha uno zigomo rotto: è una ferita dolorosa ma al ritorno ci sarà".

Il Gornik del 1961

Al ritorno, però, anche Kowalski marca visita, e il Tottenham carica la partita sui giornali. In 57.000 gremiscono White Hart Lane e la partita non ha storia: privi dei loro migliori giocatori e intimiditi dal fattore campo, i polacchi cedono, come detto, per 8-1 (una sintesi della partita la trovate qui), e ancora oggi la vittoria del Tottenham è considerata una delle partite epiche nella storia del club.
Sugli spalti, fra i 57.000 "roaring spurs" ci sono anche i tre tizi vestiti da santoni, Casey, Kirby e Curley, con in mano dei cartelli "We were angels in Chorzow", per sottolineare come la condotta dei loro beniamini, a loro parere, fosse stata assolutamente impeccabile.
I tre, come detto, ci presero gusto, e cominciarono a precedere la squadra nelle sue trasferte "predicando" a piedi la religione del Tottenham per tutta l'Inghilterra, "home and away", cantando "Glory, Glory Tottenham Hotspurs" fino all'ottobre 1963, quando a seguito di forti pressioni giunte addirittura dall'Autorità Anglicana, che li accusò apertamente di blasfemia, decisero di smettere per evitare conseguenze legali. Fu così che barbe finte, tuniche e sacri inni finirono in soffitta. 

Chorzow, 20 settembre 1961, stadio "Slask"
Coppa dei Campioni, primo turno, andata

GORNIK ZABRZE-TOTTENHAM HOTSPUR 4-2
GORNIK ZABRZE (4-3-3): Kotska, Franosz, Oslizlo; Olszowka, Florenski, Kowalski (Olejnik); Wilczek, Jankowski, Musialek (Gawlik); Pohl, Lentner. All.: Dziwisz
TOTTENHAM HOTSPUR (4-3-3): Brown, Baker, Henry; Blanchflower, Norman, MacKay; Jones, White, B.Smith; Allen, Dyson. All.: Nicholson
ARBITRO: Blavier (BEL)
RETI: 1° Lentner, 20° Musialek, 40° Wilczek, 48° Pohl; 70° Jones, 73° Dyson
NOTE: Serata autunnale. Spettatori 80.000 circa. Gravi infortuni a Musialek e Kowalski che lasciano il campo. Il portiere Kotska conclude la partita nonostante un colpo al volto.


Londra, 20 settembre 1961, stadio "White Hart Lane"
Coppa dei Campioni, primo turno, ritorno

TOTTENHAM HOTSPUR-GORNIK ZABRZE 8-1
TOTTENHAM HOTSPUR (4-3-3): Brown, Baker, Henry; Norman, Blanchflower, MacKay; White, Jones, Allen; B.Smith, Dyson. All.: Nicholson
GORNIK ZABRZE (4-3-3): Kotska, Franosz, Oslizlo; Olsowka, Florenski, Gawlik; Wilczek, Jankowski, Olejnik; Pohl, Lentner. All.: Dziwisz
ARBITRO: Van Nuffel (BEL)
RETI: 8° Blanchflower (rig), 19° Jones, 26° Jones, 28°Pohl, 43° Jones, 45° Smith, 71° Smith, 79° Dyson, 85° White
NOTE: Serata autunnale. Spettatori 56.737. 

venerdì 1 gennaio 2016

Un 'gol - non gol' nel 1870

Di solito si tende a pensare che le polemiche sui gol-fantasma e le aspre contestazioni alla terna arbitrale siano una caratteristica distintiva dell'era moderna del calcio. Invece, sia pure evolvendosi nella loro tipologia, discussioni e controversie sulla validità dei gol sono sempre state parte della storia del gioco.
Un meraviglioso esempio viene dagli archivi della FA inglese, che ci racconta di una partita (che forse, diversamente, sarebbe stata dimenticata) avvenuta il 12 marzo 1870 a Streatham, Londra, cui seguì addirittura un botta e risposta sui giornali per acclarare l'esatta dinamica dei fatti. Di fronte, i locali dello Streatham e il Lausanne, altra squadra, nonostante il nome, londinese, dell'area di Dulwich
Ma andiamo con ordine: le pagine interne di "The Sportsman" del 16 marzo 1870 ci informano che "Peckham scored after 15 minutes and Streatham won 1-0 a very pleasant game" (per i non anglofoni, "Peckham ha segnato dopo 15 minuti e lo Streatham ha vinto 1-0 una gradevole partita").
Ora, è bene premettere che nell'epoca che precede l'istituzione della FA Cup, primo torneo dove gli arbitri sono diventati istituzione, i capitani delle due squadre erano soliti discutere e risolvere le dispute di gioco, partendo dal presupposto che nessun gentiluomo inglese degno di questo nome avrebbe mai cercato di barare o di prendersi un vantaggio illegittimo. Pertanto, non era strano nè infrequente che le partite, come questa fra Streatham e Lausanne, si svolgessero di fatto senza arbitri.
Il giorno dopo il trafiletto sulla partita, "The Sportsman" riceve e pubblica (sull'edizione del 17 marzo) una lettera inviata dal FC Lausanne, che a quanto pare mette in dubbio la legittimità del successo dello Streatham.

La versione del Lausanne
Secondo la versione del Lausanne, firmata da un non meglio precisato "Hon Sec" (sta per "Segretario Onorario") del Lausanne, la partita non sarebbe stata omologata ed era necessario puntualizzare alcuni aspetti
1) Il risultato, come detto, era da intendersi "non confermato" e anzi i due capitani avevano stabilito di portare la dinamica dei fatti all'attenzione di mister Charles Alcock [ndr: uno dei padri del gioco del calcio e all'epoca la massima autorità del football inglese, dunque mondiale] 
2) La palla calciata da un giocatore era andata al di là della linea laterale, colpendo un albero posto 12 o 14 piedi (3 metri) fuori dai limiti del campo, rimbalzando però sul terreno di gioco
3) Lo Streatham ha continuato a giocare
4) Il Lausanne, che reclamava che la palla fosse rimessa in gioco, si stava posizionando per questo [ndr: in quell'epoca la palla veniva rimessa in gioco come nel rugby, quindi perpendicolarmente rispetto alla linea laterale, e le squadre si allineavano una di fronte all'altra come nella palla ovale] 
5) Lo Streatham approfittando ingiustamente della situazione ha segnato il gol della vittoria
Pubblicando questa lettera, un giornalista di "The Sportsman" commentava quindi che allo stato dei fatti il gol non era regolare e andava certamente annullato. Un parere importante, perchè l'editore di "The Sportsman" era lo stesso Charles Alcock e quindi il giornale era, in qualche modo, una sorta di organo della Federazione.

La versione dello Streatham
Ma la vicenda non è finita, perchè il giorno seguente, arriva a "The Sportsman" un'altra lettera, firmata da Charles Dunt, segretario dello Streatham, che viene pubblicata sul numero del 19 marzo 1870 e in cui si fanno le seguenti osservazioni
1) Gli alberi erano a non più di 6 piedi (1,8 metri) dalla linea laterale
2) I rami di alcuni alberi si estendevano al di sopra del terreno di gioco
3) La palla ha colpito uno di questi rami sporgenti all'interno del terreno di gioco ed è rimbalzata restando sempre all'interno del terreno
4) La palla è finita peraltro fra i piedi di un giocatore del Lausanne che ha tentato di giocarla, ma è stato contrastato da Kolle dello Streatham che gli ha tolto la palla e l'ha quindi messa al centro per Peckham che ha segnato il gol dell'1-0
5) Il Lausanne non si è lamentato in nessun modo del gol fino a che la partita non si è conclusa, e quell'unico punto è risultato quello vincente.

Per quanto ne sappiamo, il risultato venne omologato. Poco tempo dopo però fu stabilito che nessun albero o oggetto sporgente doveva incombere sulla superficie di gioco.

mercoledì 20 maggio 2015

La stretta di Zoran

"Domani non sarà una partita. Sarà quasi una guerra. Ma limitiamoci al campo: cerchiamo di essere civili". Miroslav "Ciro" Blazevic, tecnico della Croazia, terza al Mondiale di Francia 1998, si esprime così, l'8 ottobre 1999, vigilia di Croazia-Jugoslavia. E forse vorrebbe dire qualcosa in più, ma non vale davvero la pena di caricare ulteriormente una partita che già presenta mille problemi nello stato in cui si trova. Per cominciare, ci sono quelli di classifica. Alla vigilia dell'ultimo turno, la situazione, nel gruppo 8, è questa: Jugoslavia 16, Irlanda 15, Croazia 14, Macedonia 8, Malta 0. 
All'Irlanda, di scena in Macedonia, basta un punto per essere certa almeno del secondo posto, che vale gli spareggi, e vincendo ha la possibilità di chiudere prima. La Croazia, invece, non ha scelta: o vince, o è eliminata. In compenso, vincendo, estrometterebbe dalla lotta gli odiati 'plavi'.
Poi c'è il fattore ambientale. Non tutti hanno apprezzato l'idea di giocare al "Maksimir". Certo: il "Maksimir" è lo stadio più importante di Zagabria. Ma è proprio qui, che nove anni fa, il 13 maggio 1990, l'incontro fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa era finito in una rissa omerica, degenerando in guerriglia (138 feriti, 147 arresti), e il calcio sferrato dal capitano della Dinamo, Zvone Boban, a un poliziotto bosniaco che poco prima aveva manganellato un tifoso croato, oltre che costare al giocatore la squalifica dai Mondiali di Italia 1990, da molti è considerato il primo atto della guerra civile che avrebbe dilaniato la vecchia Federazione.
Tutto sotto controllo allo stadio "Maksimir"
E poi.... E poi la partita di andata. 18 agosto 1999. La guerra praticamente è finita da qualche giorno. 
Ma al "Marakanà" di Belgrado, nessuno vuol fare pace coi croati, che entrano in campo sommersi di fischi, e con il pubblico che li apostrofa: "Ustascia, Ustascia". E al 50°, quando le luci dello stadio si erano spente, e la curva serba si era improvvisamente zittita, sugli spalti si vedevano chiaramente i puntatori a infrarossi provenienti dai fucili dei cecchini. Poi la curva cominciò a rumoreggiare, e stavolta non contro i croati, ma contro il presidente Slobodan Miloševic: dopo i bombardamenti il suo consenso iniziava a calare e presto si sarebbe azzerato.
Ma quella era stata l'andata. Ora la pace era conclamata. Non roviniamola sul campo, pensava Blazevic. E sapeva che la pensava così anche il suo collega dell'altra sponda, Vujadin Boskov, ct serbo. Battaglia, certo, ma leale. Si era raccomandato molto coi suoi ragazzi, specie coi più 'caldi': quella testa matta di Asanovic, per primo. E poi, "Marione". Mario Stanic, che prima della guerra aveva avuto problemi "relazionali" con quasi tutti i giocatori serbi. Anche nonno Vujadin si era raccomandato con tutti i suoi ragazzi, concentrandosi soprattutto su Mihajlovic, Mijatovic e Milosevic.
Il gran giorno arriva. Si gioca. Il pubblico croato, come era prevedibile, non aiuta granchè. All'ingresso delle squadre grida per almeno un quarto d'ora "ubiti sve Srbe" ("uccidiamo tutti i serbi"). Ma la situazione sembra sotto controllo. Più o meno come può essere sotto controllo l'ordine pubblico in uno stadio pieno di 38.000 slavi nove mesi dopo la guerra civile.
Mirkovic stringe forte. Jarni non gradisce. Garcia Aranda prepara il 'rosso'
Segna proprio lui, Aliosha Asanovic, e il "Maksimir" esplode di gioia. Ma i serbi sono forti, e talentuosi. Pareggia Mijatovic, poi al 31° Stankovic porta avanti i suoi. Marca male per i croati. E al 41° marca male anche per la pace: Zoran Mirkovic (Belgrado, 21 settembre 1971), spigoloso terzino serbo, è in possesso di palla sulla destra della propria area. Su di lui rinviene velocissimo Robert Jarni, grintoso esterno sinistro croato, che gli porta via palla, forse senza fallo. Il serbo però cade, e l'arbitro Garcia Aranda fischia. Jarni si arrabbia tantissimo per l'occasione sprecata, e dice di tutto al direttore di gara. Da terra, Mirkovic lo guarda apparentemente conciliante. La telecamera non lo mostra, ma lo slavo tende la mano. Forse aspetta di essere rialzato, con gesto cavalleresco. Jarni non ne ha voglia, lo guarda come chi vorrebbe sopprimerlo, non rialzarlo. Ma poi gli si avvicina, forse ricordando le parole di Blazevic...un gesto di cavalleria costa poco. Questione di momenti: Mirkovic allunga la mano e stringe forte. Ma non la mano di Jarni: i suoi testicoli. A seguire, arrivano il rosso di Garcia Aranda e una notte di grandi problemi per le forze dell'ordine di Zagabria. La Croazia pareggia a inizio ripresa, proprio con "Marione" Stanic, il più astioso fra i biancorossi, ma non basteranno 43' di assedio per il gol della qualificazione. Finisce 2-2. A fine partita i serbi escono facendo il saluto cetnico. 
Era una bella serata d'ottobre. Da qualche giorno la ex Jugoslavia era in pace. 
O almeno così ci hanno sempre raccontato.

Zagabria, 9 ottobre 2010, stadio "Maksimir"
Qualificazioni Europee, ultima giornata.

CROAZIA-JUGOSLAVIA 2-2
CROAZIA (4-3-1-2): Ladic; Tudor (82°Rapaijc), R.Kovac (61°Biscan), Juric, Jarni; Soldo, Stanic, Rukavina; Asanovic; Suker, Boksic (76°J.Simic). A disp.: Saric, Mrmic, Cvitanovic, N.Kovac. Ct.: Blazevic
JUGOSLAVIA (4-3-1-2): Kralj; Mirkovic, Mihajlovic, Dukic, Djorovic; Nadj (57°Drulovic), Jokanovic, Stankovic; D.Stojkovic (54°D.Bolic); Milosevic, Mijatovic (75°D.Savicevic). A disp.: Zilic, Kovacevic, Grodzic, Saveljic. Ct: Boskov
ARBITRO: Garcia Aranda (SPA) (Tresaco Gracia e Riveiro Quarto)
RETI: 20° Asanovic, 25° Mijatovic, 31°Stankovic, 47°Stanic
NOTE: Serata serena, non fredda. Spettatori 38.743. Espulso al 41° Mirkovic per condotta violenta.

(Ndr: per saperne di più sulla guerra civile nella ex Jugoslavia, consiglio questo link)

sabato 16 maggio 2015

Milan in vendita. Trent'anni dopo - 2

Il Cda del Milan prima di Berlusconi. Da sinistra: Rivera, Farina, Lo Verde, Nardi
Il 13 dicembre 1985 (venerdì, giusto per dar ragione ai più superstiziosi) è in programma l'attesa riunione del Cda rossonero. Appuntamento a mezzogiorno, e i consiglieri ci sono tutti o quasi: mancano solo Nardi e Scalabrin, oltre al Presidente Farina. L'assenza dei primi due non desta particolare preoccupazione. Strana invece l'assenza di Farina, che di solito è uomo puntuale. In effetti, pochi minuti dopo il numero uno rossonero piomba in sala, e con cipiglio attacca a parlare. Sono poche parole ma hanno l'effetto di una deflagrazione: "Volevo solo comunicarvi la mia decisione di rassegnare le dimissioni da presidente del Milan. Non dico il motivo nell'interesse del Milan, mi dimetto proprio per non creare problemi alla società".
Incredulità in sala, e anche sgomento. Nessuno capisce perchè il Presidente (che dopo la partita col Waregem aveva manifestato l'intenzione di restare sulla tolda di comando ancora per molto tempo) lo abbia fatto.
Farina, in un'intervista rilasciata all'organo ufficiale della società, "Forza Milan", aggiunge qualcosa in più, ma senza chiarire eccessivamente, anche se ci sono due frasi che colpiscono: "Ho solo detto che mi dimetto, ma poichè sono stato eletto dall'Assemblea, ufficialmente presenterò le mie dimissioni nel corso dell'assemblea dei soci dell'8 gennaio". E poi, alla domanda: "quale potrà essere la nuova soluzione per la presidenza?", risponde secco: "Il Presidente ideale per il Milan è il Padreterno".
L'incertezza è estrema, e le cose peggiorano ulteriormente il giorno dopo: dalla Federcalcio viene inviata a Farina, e per copia al Presidente del Consiglio Sindacale, Arces, una lettera nella quale vengono rilevati scoperti bancari non autorizzati e notizie poco rassicuranti sulle società satelliti e collegate al Milan (ISMIL, Milan Promotion, Vice Sport, Milan Service).
Emergono intanto alcuni retroscena: sul "Corriere della Sera" si scrive che a convincere Farina a dimettersi sarebbe stata una telefonata di Gianni Rivera (suo vice) in cui il golden boy anticipava l'intenzione di non approvare il bilancio.
Giovedì 19 e venerdì 20 appare sulla scena Silvio Berlusconi. Con la consueta grazia.
Il 19 Fininvest emette un comunicato ufficiale: "Il gruppo Fininvest, di cui è presidente Silvio Berlusconi, dichiara la sua disponibilità ad esaminare la possibilità di un intervento a livello di capitale nella società A.C.Milan. Questa possibilità si manifesta oggi a seguito delle intenzioni di disimpegno pubblicamente manifestate dall'attuale presidente Farina".
Farina, subito dopo le dimissioni, invita i giornalisti al ristorante
per spiegare la sua versione dei fatti
Il giorno seguente, invece Farina invita i direttori dei giornali a pranzo al ristorante "Savini", per spiegare la sua verità. Caso vuole (ma è giusto credere al caso?) che al piano superiore stia pranzando Berlusconi, che casualmente scendendo vede Farina e i giornalisti e si avvicina, prestandosi volentieri alle domande. La sintesi è "Sono pronto a prendere il Milan, la mia è una famiglia di milanisti, vorremmo entrare e dare la nostra impronta". Ma c'è un ma. E domenica 22 il Cavaliere esterna attraverso "Il Giornale", facendo sapere che sì, è pronto a prendere il Milan, ma... "soltanto un Milan pulito, e pulito da Farina, non certo da noi. Ed in questo caso essendo il Milan anche un patrimonio affettivo, sapremo essere generosi". Insomma: lo prendiamo alle nostre cifre. Farina, in tribuna a Bergamo dove i rossoneri fanno 1-1 con l'Atalanta, ironizza: "Manderò il Milan in tintoria".
Ma quanto vale il Milan? Farina fa le cose per bene: convoca in sede Rivera e i consiglieri Cardillo e Ramaccioni e chiede loro una stima personale. Ramaccioni spara alto: 75 miliardi; Rivera e Cardillo concordano su 50. 
Ma nel pomeriggio, avviene qualcosa di clamoroso.
L'altro vicepresidente, Gianni Nardi, si presenta nel pomeriggio in Tribunale e chiede e ottiene il sequestro delle azioni di Farina. 
Poi fa inviare all'Ansa un comunicato: "Il vicepresidente del Milan Gianni Nardi ha reso noto di aver ottenuto (...) un sequestro conservativo e giudiziario nei confronti di Giuseppe Farina (...) sulle azioni rappresentanti il 51% del capitale sociale del Milan e sul 52% del capitale della Ismil spa. Tale sequestro ha esclusivo scopo di garantire gli impegni assunti dal dottor Farina e dalle sue società nei confronti del signor Nardi (...)". 
Per essere più chiari: Nardi, in un corposo dossier consegnato al Tribunale (23 pagine e 22 allegati) aveva lamentato un credito di 7 miliardi verso Farina, parlando anche di "gestione irregolare" e di "bilanci oscuri". Farina replicherà che lo scopo di Nardi è di impossessarsi della maggioranza azionaria, che lui, sì, aveva debiti con Nardi, ma li avrebbe onorati alla scadenza, il 30 giugno 1986, e che finora aveva tenuto fede agli impegni presi. Nardi controreplica adducendo un mancato pagamento da 300 milioni non corrisposti da Farina al 30 settembre, data di scadenza.
Nel frattempo, Berlusconi e Farina continuano a parlare. Si vocifera addirittura l'ipotesi di Liedholm presidente, che lo stesso svedese liquida con humor ("non è ancora Carnevale"). Il problema è che Berlusconi non ha nessuna intenzione di pagare il Milan 50 miliardi. Titola la "Gazzetta dello Sport" il 7 gennaio: "Farina ha chiesto quasi 50 milioni. Berlusconi scappa". 
Il giorno dopo, 8 gennaio, ci sarà la smentita. Ma ci sarà, soprattutto, l'assemblea dei soci. Farina conferma le dimissioni e aggiunge: "Ho tolto il Milan a Colombo, lo consegno a Berlusconi, speravo di meritare qualcosa di più", e chiede a Rosario Lo Verde (Palermo, 9 luglio 1914 – Milano, 28 marzo 2008), 68 anni all'epoca dei fatti, nel Cda del Milan dal 1978, e al momento uno dei vicepresidenti in carica, di succedergli pro tempore. Lo Verde si prende 3 giorni per accettare e precisa che si limiterà "a pilotare la trattativa con Berlusconi, sarò un notaio". Nel prosieguo dell'assemblea, volano gli stracci fra Farina e Nardi. Domenica 12 i giocatori partono per la trasferta di Lecce (il Milan vincerà 2-0) senza che gli stipendi di dicembre siano stati pagati. Lunedì 13 Rosario Lo Verde accetta la carica di Presidente e si mette al lavoro. Ma deve affrontare un grosso problema: al di là della trattativa con Berlusconi, la situazione della società è preoccupante, tanto che il neo presidente incarica tre esperti di vederci chiaro nei conti della società. Intanto la trattativa Farina-Berlusconi va avanti, ma il prezzo (siamo scesi a circa 40 miliardi) al Cavaliere non piace. Anche perché sa che il tempo lavora per lui. Ed esce allo scoperto proprio quando, il 15 gennaio Giussy Farina è in partenza per un viaggio d'affari all'estero....


(2 - continua)
(la prima puntata è stata pubblicata qui)

mercoledì 13 maggio 2015

Alla lavagna - La Juve vola a Berlino

Il 7 novembre 2014, la Juventus, alla prima esperienza col nuovo modulo 4-3-1-2, batteva l'Olympiacos 3-2 rischiando molto, e rimontando da un 1-2 che ne avrebbe sancito l'eliminazione dalla Champions' League già nei gironi preliminari. Sei mesi dopo, il 13 maggio, la squadra di Allegri esce indenne dal Santiago Bernabeu e approda alla finale di Berlino, contro il Barcellona. Chi l'avrebbe mai detto?
Basterebbe questo per dare l'idea della crescita avuta dalla squadra bianconera nel corso degli ultimi mesi. Una crescita fatta di personalità e di autostima, ma anche di un notevole miglioramento complessivo sul piano tecnico.
Ciò detto, pochi avrebbero scommesso, alla vigilia, su un risultato che in effetti tanto scontato non era: il Real Madrid, in casa sua, è sempre una brutta gatta da pelare. Se alla fine i bianconeri ce l'hanno fatta, lo devono anzitutto a una condizione fisica complessivamente superiore agli avversari (che ha permesso di supplire anche alle carenze dinamiche di un Pirlo apparso francamente in disarmo), e poi a una gestione giudiziosa della strategia di gara, senza dimenticare un pizzico di fortuna.

Tridente Real
Analizziamo anzitutto le tattiche di partenza. Ancelotti ha a disposizione Benzema e anche se il francese è al 70% lo manda in campo: troppo importante avere un centravanti di ruolo per ottimizzare il lavoro di Cristiano Ronaldo e Bale, schierati però con compiti differenti. Il portoghese, che non sembra nel miglior momento della sua stagione, gioca sulla sinistra, e ha mansioni di supporto e rifornimento alle punte, più che di inserimento e conclusione. Il gallese invece parte da destra ma taglia in maniera evidente verso il centro per fare di fatto la seconda punta.
Alle spalle del tridente, il trio di centrocampo Isco-Kroos-James Rodriguez ha qualità tecniche indiscutibili, ma il difetto di fare poco filtro. A dare equilibrio ci pensa Kroos, che svolge compiti da regista, ma su di lui Allegri ha studiato una 'gabbia', con Marchisio ad attaccarlo stringendo dalla destra, e Vidal a raddoppiare arretrando in pressing rispetto alla posizione di trequartista.
Il Real Madrid ha costruito le sue occasioni soprattutto sulla destra
sfruttando i cambi di gioco a beneficio di Carvajal
A fare la differenza, nel bene e nel male, per i madrileni, sono i due terzini, Marcelo e Carvajal, schierati entrambi con compiti di spinta, ma distinti fra loro: Marcelo infatti assume una posizione di partenza quasi in linea coi centrocampisti, porta spesso palla e cerca di inserirsi sulla trequarti piegando verso il centro, mentre Carvajal, che parte in linea coi centrali difensivi, segue il binario della fascia e arrivando nella metà campo avversaria in ritardo rispetto al resto dei centrocampisti, è il soggetto ideale da cercare con i cambi di gioco che a lungo sono la vera spina nel fianco della Vecchia Signora.

Juve 'stretta'
Ma perchè la Juve va così in difficoltà sui cambi di fronte del Real? Deriva dalla sua disposizione, molto stretta, così congegnata per non lasciare profondità alla velocità di Cristiano Ronaldo e Bale. Ma stare stretti significa concedere spazio sulle due fasce, spazio che diventa voragine quando, per chiudere Marcelo nelle sue sgroppate, la squadra bianconera 'scivola' sulla sinistra, lasciando grande libertà sul lato opposto all'arrivo "a rimorchio" di Carvajal.
L'altro problema che la Juve si trascinerà per tutto l'incontro è quello di un Tevez generoso, ma incapace di incidere come gli avevamo visto fare altre volte. La ragione può essere cercata nel fatto che, mentre all'andata la sua posizione, dieci metri dietro la prima punta, gli aveva consentito di trovare spazi per partire palla al piede, questa volta finisce col limitarlo, perchè i difensori madrileni gli hanno preso le misure, e soprattutto, il baricentro molto alto del centrocampo del Real fa sì che l'argentino si ritrovi spesso circondato da molti avversari e con pochissimo spazio per portare palla.

Gli episodi
Morata sta per scoccare il tiro dell'1-1
La partita comincia con la Juventus in controllo della situazione, ma il Real muove palla meglio sfruttando l'ampiezza del campo, e quando, intorno al 20°, comincia anche ad alzare il ritmo, la Juve va in difficoltà. Il rigore di Chiellini su James Rodriguez è un classico esempio di eccesso di irruenza, un intervento molto 'alla Chiellini', che però fa cambiare completamente il corso della partita. Dopo il gol di Ronaldo su rigore, la Juventus nei venti minuti finali di primo tempo accusa in maniera evidente il colpo e rischia in diverse occasioni di subire il 2-0. All'intervallo 14 conclusioni del Real, 4 della Juve: è una statistica che rende l'idea.
Giunta al riposo sotto di un solo gol, la Signora si ricompatta nel secondo tempo, con un diverso meccanismo di scalata nelle marcature di centrocampo. I primi dieci minuti sono di sofferenza, poi però un'azione abbastanza estemporanea manda Morata al tiro in piena area di rigore. La conclusione dello spagnolo (in prestito dal Real...) è insieme micidiale e fortunata, con la palla schiacciata a terra che inganna Casillas, non impeccabile.
Solo uno dei 7 tiri di Gareth Bale è finito nello specchio della porta
Il Real si getta di nuovo in avanti col coltello fra i denti,e per dieci minuti scatena l'inferno, ma la Juve regge e nelle fila delle merengues comincia a serpeggiare il nervosismo. Bale si mangia due gol in stile Marco Pacione, e non aiuta certo il morale della truppa. Il Real progressivamente si sfilaccia, perde peso in avanti (Hernandez non è Benzema, e non può fare il perno a centroarea) e la Juventus, che quando ha gli spazi diventa micidiale, ha almeno tre occasioni d'oro per il 2-1, con Marchisio, Morata e Pogba. Dall'altra parte, ci potrebbe stare un secondo rigore per fallo (forse più evidente di quello del primo tempo) di Evra su Chicharito Hernandez. Ma pesando l'andamento del secondo tempo, ad andare più vicini al gol sono stati certamente i bianconeri.

Il problema Pirlo
Juve in finale dopo 12 anni, dunque. E ora non resta che preparare la partita con l'inarrivabile Barcellona. Con due accortezze: la prima, di portare al massimo dell'efficienza Pogba, giocatore potenzialmente decisivo, specie in una partita secca; la seconda, di valutare attentamente le condizioni di Pirlo. Pur poco pressato, il regista ha gettato via una grande quantità di palloni e soprattutto è apparso in chiara difficoltà fisica, nonostante gli fosse stato ritagliato un ruolo poco dispendioso sul piano prettamente atletico. Senza voler discuterne la cifra tecnica, nell'ultima stagione Pirlo ha sempre mostrato in campo più ombre che luci e certi errori, nella finale, si pagano a caro prezzo: una gestione troppo disinvolta del primo passaggio offensivo potrebbe anche mettere in movimento il temutissimo trio Neymar-Messi-Suarez, con conseguenze esiziali.
Non c'è dubbio che il pronostico, già così, sia tutto per il Barcellona. Buffon comunque è certo: "Non andremo a Madrid a fare i turisti", e un po' di credito bisogna darglielo. Anche perché, a lui, a Berlino già una volta era andata piuttosto bene.

Buffon: "Non andremo a Berlino a fare i turisti"

martedì 5 maggio 2015

Alla lavagna - Una serata da Gran Signora.

Sarebbe un grave errore pensare di avere messo un'ipoteca sul passaggio del turno. Ma di certo con la vittoria dello Juventus Stadium la Juventus ha mosso un passo verso il suo pieno reintegro nei ranghi dell'aristocrazia europea. Il Real Madrid, per qualità dei singoli e potenzialità offensive, resta la squadra più forte. Ma nel calcio non vince sempre il più forte, e questa volta il meno forte ha vinto con merito. 
Alla base della vittoria juventina c'è un grande lavoro compiuto alla lavagna, in fase di preparazione del match. La tattica scelta da Allegri si dimostra vincente e mette in scacco il Real con 4 mosse.

1) L'uso del pressing
La Juventus imposta la gara facendo leva su una linea del pressing molto alta, attaccando il pallone quando questo è fra i piedi dei cinque giocatori difensivi del Real, ovvero i 4 difensori e Sergio Ramos, che è difensore pure lui ma per l'occasione gioca in mediana. Tutte le azioni pericolose dei bianconeri partono da palloni recuperati alti, oppure da errori di impostazione dei cinque elementi difensivi del Real (particolarmente dallo stesso Ramos, in serata del tutto negativa). Naturalmente, si tratta di una tattica dispendiosa, che infatti i bianconeri portano avanti soprattutto nelle fasi iniziali dei due tempi; quando invece il ritmo si abbassa e il pressing si affievolisce, il Real ha modo di far valere la sua maggiore qualità tecnica. Le azioni pericolose dei madrileni hanno tutte un dato comune: in qualche modo la squadra supera, o evita, la prima linea di pressing.
I tiri della Juventus indirizzati nello specchio della porta (in giallo i due gol).
I bianconeri hanno ben distribuito le conclusioni negli ultimi 20 metri

2) Squadra 'corta'
Sempre in trenta metri, con gli attaccanti che spesso ripiegano sui centrocampisti: è una Juventus molto organizzata, messa in campo non a caso con Vidal trequartista e Sturaro in mediana. Oltre a coprire meglio il campo (in fase difensiva Sturaro segue Rodriguez, e Vidal si abbassa in linea con gli altri centrocampisti, in una sorta di 4-1-3-2), la forza fisica dell'ex genoano si fa sentire, impedendo a Rodriguez, che al pari di Izco segue traiettorie che lo portano ad accentrarsi, di risultare pericoloso. Non a caso, quando il colombiano sfugge alla guardia (e accade in pratica solo due volte), il Real crea i pericoli maggiori, con il gol di Cristiano Ronaldo (assist proprio di Rodriguez) e la traversa colpita direttamente dal colombiano.

3) Gestione di Ronaldo e Bale
Il gol del momentaneo 1-1 di Cristiano Ronaldo
Sulla carta, soprattutto per la loro velocità e la differenza di passo rispetto ai centrali bianconeri, erano loro i maggiori pericoli. Allegri li neutralizza impedendo loro di sfruttare la profondità, attraverso uno schieramento 'corto', e facendo in modo di incanalarli il più possibile sulle fasce laterali, dove i raddoppi di Lichtsteiner e Evra (che hanno un passo più vicino a quello dei due attaccanti dei blancos) risultano più efficaci.

4) Tevez fra le linee
I due attaccanti della Juve, Tevez e Morata, non giocano in linea, e nemmeno particolarmente vicini. La posizione che la difesa del Real non riesce quasi mai a interpretare è quella di Tevez, che gioca fra le linee: parte molto profondo, infoltendo il centrocampo, e si inserisce ora alla destra, ora alla sinistra di Morata, dando vita a un problema di difficile soluzione per la difesa spagnola. Nei primi minuti, soprattutto, prevederne i movimenti è impresa troppo difficile per la retroguardia iberica. Tevez va al tiro due volte nei primi cinque minuti: la prima, mancando l'impatto con la sfera da posizione estremamente invitante; la seconda inserendosi con un taglio in diagonale e calciando ad incrociare, con un tiro teso che propizia l'1-0 di Morata. Ad un certo punto, le telecamere inquadrano il povero Casillas, che invano fa segno con le due mani aperte verso la propria panchina, come a dire "Il 10 sta facendo quello che vuole".
Le conclusioni scoccate dal Real nello specchio della porta (in giallo il gol di Ronaldo)
I madridisti, gol a parte, si sono resi pericolosi solo dai venticinque metri

Gli errori del Real
Come sempre quando c'è un vincitore a sorpresa, oltre ai meriti di chi vince vanno tenuti presenti i demeriti di chi perde. Nel Real ci sono almeno tre cose che non vanno. La prima è la posizione impropria di Sergio Ramos, schierato a centrocampo, evidentemente con compiti di mediano. Oltre a rivelare carenze in fase di impostazione (non sorprendentemente) risulta poco utile sul piano tattico, perchè il trequartista di cui dovrebbe prendersi cura, cioè Vidal, trequartista non è, ma gioca a tutto campo, sovente portando lo spagnolo fuori posizione.
Chiellini non va per il sottile su Cristiano Ronaldo
Il secondo problema è connaturato alla disposizione in campo: l'idea di Ancelotti, quando ha schierato James Rodriguez largo a destra, era probabilmente quella di permettergli di rientrare centralmente per sfruttare gli spazi che Ronaldo e Bale, allargandosi a turno, avrebbero potuto aprirgli. Ma la gabbia predisposta da Allegri (Sturaro in prima battuta, poi Evra in raddoppio) ha impedito che la mossa potesse avere efficacia, e togliendogli spazio, Rodriguez ha finito con l'assumere una posizione molto più marginale. Per fortuna, perchè l'assist dell'1-1 e la traversa del possibile vantaggio ne dimostrano la pericolosità potenziale.

Le prospettive
A Torino si è vista una gran Signora. Ma le partite di Champions' League, come tutti sanno, si giocano sull'arco dei 180' e il vantaggio 2-1 non è certo un margine che permetta di andare a Madrid in tutta serenità. Al Bernabeu sarà una serata torrida, ma il Real qualche spazio dovrà offrirlo, e la difesa madridista non è parsa esattamente impenetrabile. La Juve vista a Torino ci può lavorare.