mercoledì 20 maggio 2015

La stretta di Zoran

"Domani non sarà una partita. Sarà quasi una guerra. Ma limitiamoci al campo: cerchiamo di essere civili". Miroslav "Ciro" Blazevic, tecnico della Croazia, terza al Mondiale di Francia 1998, si esprime così, l'8 ottobre 1999, vigilia di Croazia-Jugoslavia. E forse vorrebbe dire qualcosa in più, ma non vale davvero la pena di caricare ulteriormente una partita che già presenta mille problemi nello stato in cui si trova. Per cominciare, ci sono quelli di classifica. Alla vigilia dell'ultimo turno, la situazione, nel gruppo 8, è questa: Jugoslavia 16, Irlanda 15, Croazia 14, Macedonia 8, Malta 0. 
All'Irlanda, di scena in Macedonia, basta un punto per essere certa almeno del secondo posto, che vale gli spareggi, e vincendo ha la possibilità di chiudere prima. La Croazia, invece, non ha scelta: o vince, o è eliminata. In compenso, vincendo, estrometterebbe dalla lotta gli odiati 'plavi'.
Poi c'è il fattore ambientale. Non tutti hanno apprezzato l'idea di giocare al "Maksimir". Certo: il "Maksimir" è lo stadio più importante di Zagabria. Ma è proprio qui, che nove anni fa, il 13 maggio 1990, l'incontro fra Dinamo Zagabria e Stella Rossa era finito in una rissa omerica, degenerando in guerriglia (138 feriti, 147 arresti), e il calcio sferrato dal capitano della Dinamo, Zvone Boban, a un poliziotto bosniaco che poco prima aveva manganellato un tifoso croato, oltre che costare al giocatore la squalifica dai Mondiali di Italia 1990, da molti è considerato il primo atto della guerra civile che avrebbe dilaniato la vecchia Federazione.
Tutto sotto controllo allo stadio "Maksimir"
E poi.... E poi la partita di andata. 18 agosto 1999. La guerra praticamente è finita da qualche giorno. 
Ma al "Marakanà" di Belgrado, nessuno vuol fare pace coi croati, che entrano in campo sommersi di fischi, e con il pubblico che li apostrofa: "Ustascia, Ustascia". E al 50°, quando le luci dello stadio si erano spente, e la curva serba si era improvvisamente zittita, sugli spalti si vedevano chiaramente i puntatori a infrarossi provenienti dai fucili dei cecchini. Poi la curva cominciò a rumoreggiare, e stavolta non contro i croati, ma contro il presidente Slobodan Miloševic: dopo i bombardamenti il suo consenso iniziava a calare e presto si sarebbe azzerato.
Ma quella era stata l'andata. Ora la pace era conclamata. Non roviniamola sul campo, pensava Blazevic. E sapeva che la pensava così anche il suo collega dell'altra sponda, Vujadin Boskov, ct serbo. Battaglia, certo, ma leale. Si era raccomandato molto coi suoi ragazzi, specie coi più 'caldi': quella testa matta di Asanovic, per primo. E poi, "Marione". Mario Stanic, che prima della guerra aveva avuto problemi "relazionali" con quasi tutti i giocatori serbi. Anche nonno Vujadin si era raccomandato con tutti i suoi ragazzi, concentrandosi soprattutto su Mihajlovic, Mijatovic e Milosevic.
Il gran giorno arriva. Si gioca. Il pubblico croato, come era prevedibile, non aiuta granchè. All'ingresso delle squadre grida per almeno un quarto d'ora "ubiti sve Srbe" ("uccidiamo tutti i serbi"). Ma la situazione sembra sotto controllo. Più o meno come può essere sotto controllo l'ordine pubblico in uno stadio pieno di 38.000 slavi nove mesi dopo la guerra civile.
Mirkovic stringe forte. Jarni non gradisce. Garcia Aranda prepara il 'rosso'
Segna proprio lui, Aliosha Asanovic, e il "Maksimir" esplode di gioia. Ma i serbi sono forti, e talentuosi. Pareggia Mijatovic, poi al 31° Stankovic porta avanti i suoi. Marca male per i croati. E al 41° marca male anche per la pace: Zoran Mirkovic (Belgrado, 21 settembre 1971), spigoloso terzino serbo, è in possesso di palla sulla destra della propria area. Su di lui rinviene velocissimo Robert Jarni, grintoso esterno sinistro croato, che gli porta via palla, forse senza fallo. Il serbo però cade, e l'arbitro Garcia Aranda fischia. Jarni si arrabbia tantissimo per l'occasione sprecata, e dice di tutto al direttore di gara. Da terra, Mirkovic lo guarda apparentemente conciliante. La telecamera non lo mostra, ma lo slavo tende la mano. Forse aspetta di essere rialzato, con gesto cavalleresco. Jarni non ne ha voglia, lo guarda come chi vorrebbe sopprimerlo, non rialzarlo. Ma poi gli si avvicina, forse ricordando le parole di Blazevic...un gesto di cavalleria costa poco. Questione di momenti: Mirkovic allunga la mano e stringe forte. Ma non la mano di Jarni: i suoi testicoli. A seguire, arrivano il rosso di Garcia Aranda e una notte di grandi problemi per le forze dell'ordine di Zagabria. La Croazia pareggia a inizio ripresa, proprio con "Marione" Stanic, il più astioso fra i biancorossi, ma non basteranno 43' di assedio per il gol della qualificazione. Finisce 2-2. A fine partita i serbi escono facendo il saluto cetnico. 
Era una bella serata d'ottobre. Da qualche giorno la ex Jugoslavia era in pace. 
O almeno così ci hanno sempre raccontato.

Zagabria, 9 ottobre 2010, stadio "Maksimir"
Qualificazioni Europee, ultima giornata.

CROAZIA-JUGOSLAVIA 2-2
CROAZIA (4-3-1-2): Ladic; Tudor (82°Rapaijc), R.Kovac (61°Biscan), Juric, Jarni; Soldo, Stanic, Rukavina; Asanovic; Suker, Boksic (76°J.Simic). A disp.: Saric, Mrmic, Cvitanovic, N.Kovac. Ct.: Blazevic
JUGOSLAVIA (4-3-1-2): Kralj; Mirkovic, Mihajlovic, Dukic, Djorovic; Nadj (57°Drulovic), Jokanovic, Stankovic; D.Stojkovic (54°D.Bolic); Milosevic, Mijatovic (75°D.Savicevic). A disp.: Zilic, Kovacevic, Grodzic, Saveljic. Ct: Boskov
ARBITRO: Garcia Aranda (SPA) (Tresaco Gracia e Riveiro Quarto)
RETI: 20° Asanovic, 25° Mijatovic, 31°Stankovic, 47°Stanic
NOTE: Serata serena, non fredda. Spettatori 38.743. Espulso al 41° Mirkovic per condotta violenta.

(Ndr: per saperne di più sulla guerra civile nella ex Jugoslavia, consiglio questo link)

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