Secondo stime risalenti al 2009, il denaro smosso dal suo indotto diretto (biglietti, diritti tv, merchandise, scommesse sportive) fa del calcio italiano, per fatturato, la settima industria del paese. Se considerassimo l'indotto indiretto (dai soldi spesi dalle tifoserie per gli spostamenti ai panini venduti all'autogrill ogni domenica, alle spese per i quotidiani sportivi, che sono all'80% incentrati sul calcio), potremmo probabilmente collocarlo più in alto in questa speciale classifica.
Partendo da questo presupposto, non si capisce bene perchè, in un Paese complessivamente in profonda crisi finanziaria, la settima industria per fatturato dovrebbe essere in controtendenza. Seguendo questo ragionamento non dovrebbe sembrare strano che il potere d'acquisto delle nostre squadre sul mercato sia caduto a picco.
E poichè i giocatori di calcio, notoriamente, non appartengono alla categoria dei sentimentali, accanto alla perdita di competitività economica assistiamo a un progressivo calo dei valori tecnici. Per circa quindici anni, da metà anni Ottanta a fine anni Novanta, il campionato italiano è stato il più importante d'Europa in assoluto; per altri dieci abbiamo resistito fra i primi quattro, lottando gomito a gomito con Inghilterra (il primo torneo a superarci), Spagna, Germania, e se la discesa non è stata più rapida è solo perchè il fascino del blasone ha rallentato il processo. Francia e Russia comunque potrebbero superarci a breve.
Alla fine i nodi sono venuti al pettine. L'ultimo è stato il mercato del 'si salvi chi può'. Sanchez, Pastore, Eto'o, Criscito, si sono accasati all'estero. Di 'top player' (per usare un termine di moda) dall'estero non ne sono arrivati, a meno di includere nella lista un Forlan che, per età e rendimento, in molti reputano al crepuscolo. D'altra parte è difficile fare mercato se non si hanno risorse economiche paragonabili alla concorrenza. Le vicende della Juventus, la società italiana che disponeva di maggiore contante in questa tornata estiva, in questo senso, sono paradigmatiche: dopo una trattativa estenuante per Aguero, Marotta è riuscito a far calare il prezzo fino a 35 milioni. Quando era sul punto di chiudere, il Manchester City ne ha offerti 45, e ciao ciao bambina.
Siamo senza soldi. E senza fantasia. Altrove in assenza di moneta si tenta di valorizzare i giovani, o di scovarli in anticipo dragando i mercati più economici: Sudamerica e Africa. In Olanda e in Belgio, il calcio da anni sopravvive così, e persino i campionati nordici (Danimarca e Svezia) in questo sono più avanti di noi: l'Italia d'altra parte è Paese tradizionalista, e anche gli operatori di mercato, fatta salva qualche eccezione illuminata (Udinese per i giovani, Catania per il mercato sudamericano, Cagliari, Palermo e Genoa per qualche intuizione dei rispettivi presidenti) trattano la materia con un approccio tradizionale.
Siamo senza soldi e senza progettualità. Sulle venti squadre di serie A, solo una ristretta cerchia sembra aver affrontato il mercato portando avanti un progetto tecnico dall'inizio alla fine. Sotto certi aspetti, i mercati 'logici' sembrano solo due. Il Napoli è la squadra che ha chiuso prima il cerchio, anche se fare meglio dell'anno scorso sarà discorso molto diverso. Il Milan ha operato con intelligenza. Delle altre grandi, la Juventus si è mossa in maniera ondivaga, cambiando più volte bersagli e obiettivi e 'dimenticandosi' dei difensori centrali. Non è roba da poco, visti gli sbandamenti difensivi dello scorso anno. L'Inter ha sfoltito i ranghi, in maniera non troppo condivisibile. Il calcio è imprevedibile, ma pensare di averci guadagnato lasciando andare Eto'o e Pandev per prendere Forlan e Zarate è una teoria tutta da verificare. La Roma ha montato pezzi interessanti (Gago, Kjaer, Pjanic) su un telaio più che discreto, ma ha dato la vettura in mano a un pilota poco collaudato, con conseguenze imprevedibili. La Lazio, nella confusione, sembra avere operato bene, ma non mi sentirei di dire che Lotito avesse previsto dall'1 luglio tutti gli acquisti e tutte le cessioni che poi si sono verificate.
Infine, siamo senza soldi e un po' sprovveduti, perchè il calcio italiano, come il Paese Italia, non sa programmare. Secondo un conteggio spannometrico, in serie A i giocatori con un contratto professionistico sono circa 800. Diviso per 20 squadre fa una media di 40 contrattualizzati a squadra: ne basterebbero la metà. Ma d'altra parte i tagli, in Italia, si fanno dappertutto, eccetto dove serve.
Tutto aumenta, anche la miseria. Per consolarci ci dicono che sarà un torneo più equilibrato dei precedenti. Ma non sempre equilibrio fa rima con competitività.
Nessun commento:
Posta un commento