Per gli appassionati di rugby, "L'uomo delle caverne" è per antonomasia Sebastien Chabal, terza linea francese dall'aspetto decisamente poco rassicurante. Pochi sanno però che ben prima di lui un altro "uomo delle caverne" ha calcato i prati di mezzo mondo. Quelli di calcio, però, anche se a modo suo.
"El Cavernìcula" era il soprannome di Franco Felipe Neri Duarte (Itacurubí de la Cordillera, 26/05/59), ciclopico attaccante paraguaiano.Alto 186 centimetri e largo come due lavatrici (la mole, al giorno d'oggi, può non sembrare ragguardevole, ma vent'anni fa, e al cospetto del fisico del sudamericano medio faceva la sua impressione), inizia la carriera diciottenne nella Italcorubì. Poi passa al Campo Grande, dove è capocannoniere della serie B paraguaiana e quindi al Cerro Porteno. Qui si ritaglia un ruolo da protagonista nel (modesto) movimento nazionale, che gli vale l'atteso biglietto aereo per l'Europa. Lo contatta, subito dopo il Mundial 1982, l'Elche di Alicante, all'epoca ambizioso club di Segunda Division. Neri non delude e facendo leva su un fisico poderoso segna 26 gol in due stagioni, fra una squalifica e l'altra. Il suo modo intimidatorio di occupare l'area di rigore, dove nelle mischie "El Cavernicula" è solito liberarsi mulinando le braccia come fossero clave, non è infatti troppo ben visto dagli arbitri spagnoli, che pure non sono certo abituati a difese raffinate.
Nella Liga, però, il fisico non basta, e nella stagione 1984-85 Neri si scopre inadeguato alla categoria: solo due presenze e biglietto di ritorno per la "Segunda", sponda Cartagena. Qui però non si trova bene e dopo aver completato il solo girone di andata, torna in Sudamerica a gennaio 1986. Lo contatta l'Uniòn Magdalena, squadra di Santa Marta, la città di Carlos Valderrama, dove diventa un idolo. Un raro filmato lo ritrae all'opera (qui) mentre rifila due reti al Deportivo Cucuta, squadra di alta classifica, il cui allenatore resta così impressionato dalle sue gesta da ingaggiarlo seduta stante per la stagione successiva.
Anche nel campionato colombiano i cartellini gialli e rossi fioccano numerosi, tanto da valergli un altro soprannome, "El Apostolo", un nomignolo ironico, affibbiato a un giocatore che era tutt'altro che un santo, ma che assomigliava molto alle raffigurazioni di San Filippo (Felipe) Neri, molto venerato in Colombia.
Si avvicina il creupuscolo e nel 1989 Neri torna in patria, ingaggiato dall'Olimpia Asunciòn. Forse i tifosi milanisti più attenti lo ricorderanno occupare un buon quarto della panchina paraguaiana nella finale di Intercontinentale vinta 3-0 dai rossoneri di Gullit e Van Basten. Sarebbe stato interessante vedere "El Cavernìcula" misurarsi con Tassotti e Baresi, ma il suo mister non lo rischia.
Dopo un altro cameo in Spagna (12 partite nel Salamanca in "Segunda"), nel 1991-92 firma per il Libertad di Asuncion e l'anno dopo ottiene la sua unica presenza in Nazionale, a 34 anni, contro la Bolivia. Fa anche gol, ma non viene selezionato per la Còpa Amèrica che si giocherà in Ecuador. Appesantito dagli anni e dal "Pisco", di cui è accanito bevitore, appende le scarpe al chiodo nel 1994. Oggi è allenatore in Paraguay, dove predica un calcio essenziale e molto basato sul temperamento. Il palleggio, d'altra parte, non era il suo forte.
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