Ammettiamolo: lo ricordiamo tutti per i suoi servizi da Napoli in "90°minuto", talvolta in campo, spesso attorniato da scugnizzi che salutano, per qualche battuta, per i suoi atteggiamenti da guappo calcistico. E forse il problema è proprio questo, perchè si dà il caso che Luigi Necco (Napoli, 8 maggio 1934) sia molto più che un semplice guitto o un giornalista-tifoso di quelli che adesso popolano le trasmissioni sportive.
Lo dice la sua storia personale, che si incrocia ora con la cronaca nera, ora con l'archeologia. Dopo le prime comparsate giornalistiche sul Corriere di Napoli, entra in Rai dove per quindici anni, dal 1978 al 1993, è telecronista di "90°minuto", prima da Avellino e quindi da Napoli. Proprio ad Avellino si verifica il primo, drammatico episodio che dovrebbe convincere i più scettici a prendere Necco sul serio: nell'ottobre 1980, Antonio Sibilia, allora presidente dei "lupi", si reca insieme all'asso brasiliano Juary a una delle udienze del processo per camorra che vede imputato Raffaele Cutolo. Durante una pausa del processo saluta il boss con tre baci sulla guancia, e gli presenta Juary, che gli consegna una medaglia d'oro con dedica "A Raffaele Cutolo dall'Avellino calcio". Intervistato dai giornalisti presenti, Sibilia spiega: «Cutolo è un supertifoso dell'Avellino; il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione».
La notizia viene ripresa dallo stesso Necco, che in quei giorni sta curando per il TG1 una serie di sei servizi su Avellino, il terremoto e la camorra. In particolare viene messa in risalto la figura del braccio destro di Sibilia, Sergio Marinelli, che aveva organizzato una sorta di partito locale, il “Movimento Terra”, che faceva da copertura per alcune attività camorristiche nelle quali fu poi implicato anche il presidente biancoverde. Necco fa riferimento all'episodio della medaglia in uno dei sei servizi, ipotizzando che anche lo stesso Avellino calcio si regga finanziariamente grazie ai proventi di affari poco puliti (leggi riciclaggio). Cutolo, a quanto pare, cerca di proteggere Necco dicendo ai suoi scherani che la stampa va lasciata in pace e che il cronista in questione gli è pure simpatico, ma ad Enzo Casillo, detto "O'Nirone", luogotenente di Cutolo fuori dal carcere, evidentemente Necco sta proprio sulle scatole, visto che alla vigilia di Avellino-Cesena (novembre 1981), invia tre sgherri ad attenderlo fuori dal ristorante dell'Hotel Cinzia a Mercogliano, dove Necco pranza prima di ogni partita e lo fa gambizzare. Sulla sua macchina viene ritrovata una scritta: "Non fare il criticone. Stai attento ai commenti che fai".
Ristabilitosi dall'attentato, Necco mantiene il posto ad Avellino per altre due stagioni, poi passa alla sede di Napoli. Al San Paolo all'epoca non c’è nemmeno loa cabina per la diretta, lui la inventa: sale sul gradone più alto dello stadio e prova a trasmettere da lì; un bel po’ di ragazzotti lo vedono e lo seguono. La regia li vuole cacciare, Necco intuisce che con quelli attorno la cosa si fa più autentica e li invita a restare. Lo ripagano una volta in cui, commentando una vittoria per 7-1, perde il filo della sequenza dei gol, e fuori campo gli scugnizzi gli suggeriscono il marcatore: «Era Savoldi, era Savoldi!».
Il Napoli cresce di prestigio con l'arrivo di Maradona e così cresce anche la sua presenza in onda. Sono gli anni del duello-scudetto tra Milan e Napoli e il tifo spesso ha il sopravvento: una volta, dopo una vittoria 3-0 degli azzurri, chiosa: «Napoli chiama e Milano non risponde», e mostra tre dita alla telecamera. La domenica dopo Gianni Vasino da Milano (vittoria del Milan, contemporaneo ko del Napoli) gli risponde per le rime: «oggi il mio amico Necco non avrà molto da agitare con la mano». La domenica successiva Necco replica ancora con una battuta contro Milano e il solitamente serafico Paolo Valenti, esasperato, chiude così la polemica: «preghiamo i colleghi Vasino a Necco di telefonarsi dopo la trasmissione e dirsi a voce quello che si vogliono dire».
Chiusa l'esperienza a 90°minuto, cura conduce per qualche mese "Mi manda Raitre", ma soprattutto si dedica alla sua passione di gioventù, l'archeologia. Con ottimi, anche se misconosciuti, risultati: realizza 360 documentari sui tesori archeologici dell'area mediterranea, e soprattutto si dedica con successo alla ricerca del Tesoro di Troia. Il tesoro, ritrovato da Heinrich Schliemann nel 1873 fra le rovine di Troia, era stato portato in Germania e le autorità tedesche lo avevano dato per distrutto fra i bombardamenti di Berlino del 1945. Non è così: con minuziose ricerche in tutte le aree dell'Europa Orientale, Necco alla fine individua i ladri e il nascondiglio del tesoro, che viene recuperato ed esposto il 16 aprile 1996 nel Museo Puskin di Mosca. Su questo libro Necco ha scritto anche un libro, "Giallo di Troia", ma praticamente nessuno sembra essersi accorto del suo straordinario apporto culturale. In Italia, per farsi prendere sul serio, bisogna parlare di calcio.
Lo dice la sua storia personale, che si incrocia ora con la cronaca nera, ora con l'archeologia. Dopo le prime comparsate giornalistiche sul Corriere di Napoli, entra in Rai dove per quindici anni, dal 1978 al 1993, è telecronista di "90°minuto", prima da Avellino e quindi da Napoli. Proprio ad Avellino si verifica il primo, drammatico episodio che dovrebbe convincere i più scettici a prendere Necco sul serio: nell'ottobre 1980, Antonio Sibilia, allora presidente dei "lupi", si reca insieme all'asso brasiliano Juary a una delle udienze del processo per camorra che vede imputato Raffaele Cutolo. Durante una pausa del processo saluta il boss con tre baci sulla guancia, e gli presenta Juary, che gli consegna una medaglia d'oro con dedica "A Raffaele Cutolo dall'Avellino calcio". Intervistato dai giornalisti presenti, Sibilia spiega: «Cutolo è un supertifoso dell'Avellino; il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione».
La notizia viene ripresa dallo stesso Necco, che in quei giorni sta curando per il TG1 una serie di sei servizi su Avellino, il terremoto e la camorra. In particolare viene messa in risalto la figura del braccio destro di Sibilia, Sergio Marinelli, che aveva organizzato una sorta di partito locale, il “Movimento Terra”, che faceva da copertura per alcune attività camorristiche nelle quali fu poi implicato anche il presidente biancoverde. Necco fa riferimento all'episodio della medaglia in uno dei sei servizi, ipotizzando che anche lo stesso Avellino calcio si regga finanziariamente grazie ai proventi di affari poco puliti (leggi riciclaggio). Cutolo, a quanto pare, cerca di proteggere Necco dicendo ai suoi scherani che la stampa va lasciata in pace e che il cronista in questione gli è pure simpatico, ma ad Enzo Casillo, detto "O'Nirone", luogotenente di Cutolo fuori dal carcere, evidentemente Necco sta proprio sulle scatole, visto che alla vigilia di Avellino-Cesena (novembre 1981), invia tre sgherri ad attenderlo fuori dal ristorante dell'Hotel Cinzia a Mercogliano, dove Necco pranza prima di ogni partita e lo fa gambizzare. Sulla sua macchina viene ritrovata una scritta: "Non fare il criticone. Stai attento ai commenti che fai".
Ristabilitosi dall'attentato, Necco mantiene il posto ad Avellino per altre due stagioni, poi passa alla sede di Napoli. Al San Paolo all'epoca non c’è nemmeno loa cabina per la diretta, lui la inventa: sale sul gradone più alto dello stadio e prova a trasmettere da lì; un bel po’ di ragazzotti lo vedono e lo seguono. La regia li vuole cacciare, Necco intuisce che con quelli attorno la cosa si fa più autentica e li invita a restare. Lo ripagano una volta in cui, commentando una vittoria per 7-1, perde il filo della sequenza dei gol, e fuori campo gli scugnizzi gli suggeriscono il marcatore: «Era Savoldi, era Savoldi!».
Il Napoli cresce di prestigio con l'arrivo di Maradona e così cresce anche la sua presenza in onda. Sono gli anni del duello-scudetto tra Milan e Napoli e il tifo spesso ha il sopravvento: una volta, dopo una vittoria 3-0 degli azzurri, chiosa: «Napoli chiama e Milano non risponde», e mostra tre dita alla telecamera. La domenica dopo Gianni Vasino da Milano (vittoria del Milan, contemporaneo ko del Napoli) gli risponde per le rime: «oggi il mio amico Necco non avrà molto da agitare con la mano». La domenica successiva Necco replica ancora con una battuta contro Milano e il solitamente serafico Paolo Valenti, esasperato, chiude così la polemica: «preghiamo i colleghi Vasino a Necco di telefonarsi dopo la trasmissione e dirsi a voce quello che si vogliono dire».
Chiusa l'esperienza a 90°minuto, cura conduce per qualche mese "Mi manda Raitre", ma soprattutto si dedica alla sua passione di gioventù, l'archeologia. Con ottimi, anche se misconosciuti, risultati: realizza 360 documentari sui tesori archeologici dell'area mediterranea, e soprattutto si dedica con successo alla ricerca del Tesoro di Troia. Il tesoro, ritrovato da Heinrich Schliemann nel 1873 fra le rovine di Troia, era stato portato in Germania e le autorità tedesche lo avevano dato per distrutto fra i bombardamenti di Berlino del 1945. Non è così: con minuziose ricerche in tutte le aree dell'Europa Orientale, Necco alla fine individua i ladri e il nascondiglio del tesoro, che viene recuperato ed esposto il 16 aprile 1996 nel Museo Puskin di Mosca. Su questo libro Necco ha scritto anche un libro, "Giallo di Troia", ma praticamente nessuno sembra essersi accorto del suo straordinario apporto culturale. In Italia, per farsi prendere sul serio, bisogna parlare di calcio.
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