Febbraio 2003. Mercoledì 12 al "Luigi Ferraris" di Genova si gioca l'amichevole Italia-Portogallo, uno dei test che gli azzurri sostengono sulla strada che porterà ai deludenti europei che si giocheranno proprio in terra lusitana. Per l'Italia di Giovanni Trapattoni è una partita che risulterà importante soprattutto per un esperimento: quello dell'arretramento di Zambrotta in posizione di terzino, una bella intuizione del Trap (una delle poche nel suo quadriennio di ct) che sarà poi punto fermo dell'Italia mondiale di Lippi.
L'aneddoto questa volta è personale. Per il vostro umile cronista è giornata di gran festa: grazie alla radio dove lavora (questa qui. Facciamo per una volta marchetta), infatti, è riuscito a farsi accreditare dalla Figc per vedere la partita come un giornalista vero. Per il sottoscritto è la prima partita da inviato al seguito della Nazionale (ne avrei poi viste altre due, quello stesso anno a Ginevra Svizzera-Italia, e quindi nel 2004, sempre a Genova, Italia-Spagna. Spero ovviamente che possano capitare altre occasioni), ed è come scoprire un mondo nuovo.
Da ignaro parvenu, ero tranquillamente rassegnato a sfamarmi pasteggiando in uno dei bar vicini allo stadio un paio d'ore prima del calcio d'inizio, ma proprio il giorno prima, al termine della conferenza stampa del Trap, il collega Vittorio Oreggia, ora direttore e all'epoca inviato di Tuttosport, che già conoscevo per averlo incontrato al ritiro della Juventus a Chatillon, mi aveva spiegato che in realtà i giornalisti accreditati avrebbero potuto togliersi la fame al buffet organizzato, un'oretta prima della gara, nei locali adiacenti la tribuna stampa.
L'informazione, purtroppo, si rivela esatta solo parzialmente. Munito del mio badge salgo i gradini che portano all'area-press, ma una volta in cima vengo fermato dalla security. Scopro così che non tutti gli inviati sono uguali, ma che alcuni sono più uguali degli altri. Il mio pass, verde con bordo rosso, mi garantisce infatti un posto in tribuna laterale, ma l'accesso al buffet è consentito solo ai tesserini verdi e bianchi, affidati ai giornalisti delle testate nazionali o agli ospiti-vip, che hanno posti riservati in tribuna stampa e tribuna autorità. "Mi spiace, signore, non può entrare".
Non proprio di buon umore (non c'è più tempo per uscire e andare al bar) scendo i gradini della tribuna, e al primo pianerottolo quasi finisco addosso a un signore che ha appena girato la rampa in direzione opposta.
Lo guardo e trasecolo: davanti a me ho nientemeno che Giacomo Bulgarelli (Portonovo di Medicina, 24 ottobre 1940 – Bologna, 12 febbraio 2009): indossa un trench che lascia intravedere al di sotto un inappuntabile abito grigio. Mi atteggio, lo saluto e mi scuso per la quasi collisione: "Buonasera Bulgarelli. Mi scusi, eh".
Lui mi guarda, con uno sguardo un po' assente, come di chi pensa di conoscerti, ma non ricorda bene chi sei. Forse il mio saluto, molto deciso nel tono, lo ha spiazzato. Mi prende la mano destra e la stringe vigoroso. "Oh, buonasera - fa con lieve accento bolognese e il tono di chi mi conosce da una vita - come va?". Ancora più imbarazzato mormoro frasi di circostanza... "beh, tutto bene, vediamo come gioca Zambrotta da terzino". Sempre più spiazzato, mi prende sottobraccio e intanto risale. Inverto il senso di marcia e salgo affiancato a lui, mentre mi chiede, forse per capire chi io sia davvero: "Si, sono curioso anche io di vedere Zambrotta. E al lavoro, lei, come va?". Ho capito chiaramente che per qualche motivo crede di conoscermi. E intanto mi sta scortando di nuovo all'ingresso buffet. Me la gioco. "Solite cose: sono qui per la radio, ma la postazione che mi hanno assegnato è un po' defilata". Bulgarelli varca l'ingresso dell'area buffet. Io sono ancora sottobraccio a lui e il buttafuori non osa separarmi dall'intoccabile cronista tv. Anzi lo saluta calorosamente. Sono dentro. Intanto la frase della radio ha definitivamente spiazzato l'onorevole Giacomino, che si arrende: "E' bello vedere un giovane che si dà tanto da fare: mi raccomando continui così".
Gli stringo la mano, saluto, e penso che è un po' meno bello vedere un mito del calcio e del giornalismo televisivo che, un po' rincoglionito dagli anni (o forse dalla grappa che qualcuno doveva avergli offerto poco prima e che ancora aleggiava nell'aria quando mi parlava) non è in grado di ricordare se il ragazzo che ha di fronte è un volto conosciuto o no. Comunque sia: il buffet è ottimo, e dopo averne abbondantemente approfittato, usurpo anche un posto vuoto in tribuna stampa, cinque file sotto Bruno Pizzul, e mi godo la partita, che l'Italia vince con un gol di Corradi. Davvero una serata dove l'impossibile diventa realtà.
L'aneddoto questa volta è personale. Per il vostro umile cronista è giornata di gran festa: grazie alla radio dove lavora (questa qui. Facciamo per una volta marchetta), infatti, è riuscito a farsi accreditare dalla Figc per vedere la partita come un giornalista vero. Per il sottoscritto è la prima partita da inviato al seguito della Nazionale (ne avrei poi viste altre due, quello stesso anno a Ginevra Svizzera-Italia, e quindi nel 2004, sempre a Genova, Italia-Spagna. Spero ovviamente che possano capitare altre occasioni), ed è come scoprire un mondo nuovo.
Da ignaro parvenu, ero tranquillamente rassegnato a sfamarmi pasteggiando in uno dei bar vicini allo stadio un paio d'ore prima del calcio d'inizio, ma proprio il giorno prima, al termine della conferenza stampa del Trap, il collega Vittorio Oreggia, ora direttore e all'epoca inviato di Tuttosport, che già conoscevo per averlo incontrato al ritiro della Juventus a Chatillon, mi aveva spiegato che in realtà i giornalisti accreditati avrebbero potuto togliersi la fame al buffet organizzato, un'oretta prima della gara, nei locali adiacenti la tribuna stampa.
L'informazione, purtroppo, si rivela esatta solo parzialmente. Munito del mio badge salgo i gradini che portano all'area-press, ma una volta in cima vengo fermato dalla security. Scopro così che non tutti gli inviati sono uguali, ma che alcuni sono più uguali degli altri. Il mio pass, verde con bordo rosso, mi garantisce infatti un posto in tribuna laterale, ma l'accesso al buffet è consentito solo ai tesserini verdi e bianchi, affidati ai giornalisti delle testate nazionali o agli ospiti-vip, che hanno posti riservati in tribuna stampa e tribuna autorità. "Mi spiace, signore, non può entrare".
Non proprio di buon umore (non c'è più tempo per uscire e andare al bar) scendo i gradini della tribuna, e al primo pianerottolo quasi finisco addosso a un signore che ha appena girato la rampa in direzione opposta.
Lo guardo e trasecolo: davanti a me ho nientemeno che Giacomo Bulgarelli (Portonovo di Medicina, 24 ottobre 1940 – Bologna, 12 febbraio 2009): indossa un trench che lascia intravedere al di sotto un inappuntabile abito grigio. Mi atteggio, lo saluto e mi scuso per la quasi collisione: "Buonasera Bulgarelli. Mi scusi, eh".
Lui mi guarda, con uno sguardo un po' assente, come di chi pensa di conoscerti, ma non ricorda bene chi sei. Forse il mio saluto, molto deciso nel tono, lo ha spiazzato. Mi prende la mano destra e la stringe vigoroso. "Oh, buonasera - fa con lieve accento bolognese e il tono di chi mi conosce da una vita - come va?". Ancora più imbarazzato mormoro frasi di circostanza... "beh, tutto bene, vediamo come gioca Zambrotta da terzino". Sempre più spiazzato, mi prende sottobraccio e intanto risale. Inverto il senso di marcia e salgo affiancato a lui, mentre mi chiede, forse per capire chi io sia davvero: "Si, sono curioso anche io di vedere Zambrotta. E al lavoro, lei, come va?". Ho capito chiaramente che per qualche motivo crede di conoscermi. E intanto mi sta scortando di nuovo all'ingresso buffet. Me la gioco. "Solite cose: sono qui per la radio, ma la postazione che mi hanno assegnato è un po' defilata". Bulgarelli varca l'ingresso dell'area buffet. Io sono ancora sottobraccio a lui e il buttafuori non osa separarmi dall'intoccabile cronista tv. Anzi lo saluta calorosamente. Sono dentro. Intanto la frase della radio ha definitivamente spiazzato l'onorevole Giacomino, che si arrende: "E' bello vedere un giovane che si dà tanto da fare: mi raccomando continui così".
Gli stringo la mano, saluto, e penso che è un po' meno bello vedere un mito del calcio e del giornalismo televisivo che, un po' rincoglionito dagli anni (o forse dalla grappa che qualcuno doveva avergli offerto poco prima e che ancora aleggiava nell'aria quando mi parlava) non è in grado di ricordare se il ragazzo che ha di fronte è un volto conosciuto o no. Comunque sia: il buffet è ottimo, e dopo averne abbondantemente approfittato, usurpo anche un posto vuoto in tribuna stampa, cinque file sotto Bruno Pizzul, e mi godo la partita, che l'Italia vince con un gol di Corradi. Davvero una serata dove l'impossibile diventa realtà.
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