domenica 31 luglio 2011

Due parole sulla Copa Amèrica

Sono convinto che il vero significato dei grandi tornei emerge meglio a distanza di un paio di settimane dalla chiusura, quando i riflettori sono spenti e la mente è un po' meno condizionata dagli aspetti mediatici e dalle storie da copertina. Che sono parte del bilancio, ma mica lo esauriscono.
Argentina 2011 ormai è roba da annali, e allora, dopo aver ascoltato analisi e riassunti, dico la mia su quelli che ritengo i concetti fondamentali emersi dal torneo.
1) Le sorprese sono state molto relative.
La classifica finale, con la finalissima fra Uruguay e Paraguay e le grandi tradizionali Argentina e Brasile fuori dal podio è stata vista da tutti come una grande sorpresa, ma questa considerazione a mio parere va ridimensionata. Se confrontiamo l'esito della Copa con quello dell'ultimo grande torneo internazionale che ha visto le squadre sudamericane protagoniste (il Mondiale 2010), si scopre che la migliore, anche dodici mesi fa, era stato l'Uruguay, unica sudamericana semifinalista, e che la seconda, guarda caso, era stato proprio il Paraguay, eliminato (al pari del Brasile) ai quarti, ma in grado di mettere paura ai futuri campioni della Spagna (rigore sbagliato da Cardozo sullo 0-0, gol vittoria di Villa, molto rocambolesco, all'83°). Molto più sorprendenti, invece, il terzo posto del Perù e il quarto del Venezuela, questi sì, davvero impronosticabili, e le debacle contemporanee di Argentina e Brasile, che però trovano una ragione al punto 2
2) Gli allenatori, evidentemente, contano qualcosa
Ha vinto l'Uruguay perchè, oltre ad avere una delle squadre migliori, aveva probabilmente l'allenatore migliore. E c'è da chiedersi se davvero in Europa (in Italia) non siamo stati un po' frettolosi a rimpatriare Oscar Washington Tabarez con l'etichetta di uomo elegante ma tecnico inadatto al calcio europeo. Anche se personalmente ritengo che l'infortunio di Cavani abbia consentito soluzioni tattiche più equilibrate, la scelta di Coates secondo centrale (era un debuttante, non lo dimentichiamo) e la protezione della difesa con due incontristi come Perez e Arevalo Rios, anche a spese di un giocatore tecnicamente molto superiore come Lodeiro, si sono rivelate intuizioni azzeccate.
'Tata' Martino ha compiuto un capolavoro a condurre il Paraguay al secondo posto. Si è molto favoleggiato sulla albirroja come squadra catenacciara, ma come tutte le etichette, anche questa è esagerata. Nel girone, quando a disposizione c'era un perno offensivo di qualità assoluta come Santa Cruz, il Paraguay non ha mai rinunciato a giocare (la prima delle due sfide col Brasile è finita 2-2 e i paraguagi vincevano 2-0...). Perso il suo uomo di maggior classe, con Estigarribia e Barrios mezzi rotti (quest'ultimo si è definitivamente strappato proprio in finale), Martino si è affidato all'unico reparto ancora integro, la difesa, trovando in Villar (che già al Mondiale si era fatto apprezzare) un estremo a tratti miracoloso.
Un plauso, parlando di tecnici, anche a Sergio Markarian: il suo Perù, terzo nonostante gli infortuni di Pizarro e Farfàn, e con Vargas recuperato in extremis, ha mostrato grande organizzazione e qualche buona individualità (Yotun e Advincula sono giovani di buon potenziale). Il rapporto fra potenzialità della squadra e risultato è quasi miracolistico.
Per contro, Brasile e Argentina sono stati vittima (anche) dei loro tecnici. Menezes ha presentato una squadra molto giovane (e questa è un'attenuante che va considerata) dove però i giocatori offensivi, oltre che relativamente inesperti a livello internazionale, sono stati lasciati 'allo stato brado'. 4-2-fantasia, si dice da quelle parti, ma poichè i difetti principali dei giovani calciatori sono lo scarso senso tattico e l'incostanza, qualche puntello in più, sia con l'innesto di giocatori esperti che con un modulo più attento alla fase di non possesso credo avrebbe dato qualche beneficio. Per l'Argentina, Batista ha prima sbagliato la collocazione di Messi, poi perso la stima dello spogliatoio con una rivoluzione tattica che ha portato soprattutto un senso di precarietà. Singolare il fatto che entrambe le nazionali, in fondo, siano uscite al termine delle due migliori partite da loro disputate nel torneo. Ma il calcio è fatto così.
3) Nulla di nuovo sotto il sole
Tatticamente si è visto poco: doveva essere la Copa della tecnica, o almeno così la presentava Sky (ma chi conosce la storia del torneo non poteva illudersi), è stata invece, in molti casi, la fiera del calcione, con contrasti e interventi che di europeo hanno poco (ma che forse, rovesciando la prospettiva, poichè non sta scritto che il giusto stia per forza nell'interpretazione del Vecchio Continente, sono più aderenti a quello che era lo spirito originario del gioco, che da queste parti abbiamo annacquato con troppi cartellini e interruzioni).
Nomi nuovi? Con il contagocce: cito l'ingestibile costaricano Campbell, che riesce a far saltare il proprio trasferimento all'Arsenal, il peruviano Advincula di cui ho già detto, il paraguagio Estigarribia, l'uruguagio Coates. Buone conferme, fra i giocatori già noti ma non consacrati, per il colombiano Guarìn, per il cileno Valdivia e per l'uruguagio Alvaro Pereira.

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