sabato 21 marzo 2015

Ronnie Hellström, il gigante di Malmö

"Ho parato con i piedi, ho parato con il corpo, ho sempre parato con tutto me stesso".
Parola di Ronnie Wallentin Hellström (21 febbraio 1949), svedese di Malmö. La città di Ibrahimovic e di Anita Ekberg, scegliete voi chi preferite, ma soprattutto il miglior portiere della storia del calcio svedese. Sarà proprio per questo, per il fatto di averci sempre messo tutto se stesso, che quel giorno, il 24 aprile 1984, il giorno del suo addio al calcio, la fredda Kaiserslautern sembra l'ombelico del mondo. 
Allo stadio non c'è più un posto libero: 35.000 spettatori (e forse qualcuno in più) sono accorsi a salutarlo. E in campo c'è una parata di stelle, il meglio del calcio nordeuropeo Anni Settanta. Ci sono i grandi del campionato tedesco: Beckenbauer, Maier e Breitner, e ci sono le stelle svedesi, Sandberg, Borg e Bosse Larsson. La sua partita d'addio la trasmettono in 6 Paesi, compresa la Svezia, ovviamente, ma soprattutto è il primo "testimonial match" che la Federazione tedesca autorizza per un giocatore straniero. 
Il giro d'onore di Hellstrom al termine del suo 'testimonial match' nel 1984
Per anni, l'immagine di Hellström, un vero colosso per il calcio dell'epoca, con i suoi 192cm per 84kg, è stata legata a un aneddoto, tanto significativo quanto, si è poi scoperto, inventato. Un giornalista francese, inviato di Le Monde in Argentina, ai Mondiali 1978 (i terzi e ultimi disputati dal portiere, che era stato tra i pali anche nel 1970 e 1974), tale Gérard Albouy, aveva scritto, sul numero 10 del suo giornale, in edicola il 10 giugno "Nella piazza, alcune persone si godono il sole d'inverno sulle panchine. Alcuni minuti più tardi, arrivano sette o otto giovani biondi, vestiti con la stessa divisa sportiva gialla e azzurra. Sono calciatori della Nazionale svedese. C'è Bjorn Nordqvist, che ha appena battuto un record mondiale giocando la sua partita internazionale numero centodieci. Il talentuoso portiere Ronnie Hellström, l'attaccante Ralf Edström, Steffan Tapper, ecc. Videocamere alla mano, macchine fotografiche a tracolla, sembrano perfetti turisti". Era la descrizione della partecipazione di alcuni giocatori della nazionale svedese a una manifestazione contro il regime delle madri dei desaparecidos, inscenata in Plaza de Mayo. Solo che lui non c'era. Lo ha chiarito trent'anni dopo, nel 2008: "non ero io, non sono mai andato a manifestare. Non sapevo che ci fosse gente convinta di questa versione. Due o tre dei miei compagni andarono in piazza, non ricordo chi. Non io".
Ricapitolando: il più grande aneddoto su di lui, è inventato; la sua partita che i tifosi ricordano ancora oggi fu quella del suo addio. Ma allora, perché ancora oggi Ronnie Hellström è così amato in Germania?
Hellstrom: "Andare via da Kaiserslautern? Stavo bene dov'ero"

I motivi sono molti. Oltre alle sue basette, che lo resero un'icona (nel calcio il look è importante. Lo è sempre stato), la sua innegabile bravura come portiere, e la sua assoluta fedeltà al Kaiserslautern, dove, trasferitosi dall'Hammarby (sua squadra del cuore) appena prima dei Mondiali 1974, giocò per 10 stagioni, senza vincere mai un trofeo, e rifiutando le proposte ricevute nel frattempo da numerosi top teami europei. "Perchè avrei dovuto andarmene? Stavo bene dov'ero". 
Serissimo in campo e fuori durante la stagione agonistica, "allentava la presa", per così dire, in vacanza, fra donne, birra, buon vino, ma sempre con una notevole ironia, e una innata bonomia che lo rendeva sempre disponibile a parlare con tutti.
Sono numerose le foto d'epoca che lo ritraggono in plastiche pose. Ma forse la più interessante è un'altra, datata 1982, dove è praticamente l'uomo più fratturato del mondo: diverse costole, radio, ulna, e qua e là altri ossicini non proprio in gran forma. L'origine dell'infortunio, a tutt'oggi, non è molto chiara. La versione ufficiale parla di una banale scivolata sulle scale di casa. Così banale, che in molti propendono per altre opzioni: le più gettonate? una caduta da una motocicletta al termine di una notte zarista (e chiaramente la moto era in movimento), e addirittura uno scivolone (anche qui al termine di una serata un po' vivace) durante un concerto degli AC/DC. Non lo sapremo mai. Di sicuro c'è che anche in ospedale non perse il suo proverbiale buonumore: "Sono così bello in questa posa che sembro una statua".
In Germania gli dedicano francobolli, un vino a tiratura limitata (500 bottiglie etichettate con la sua faccia), un paio di libri, un film. Lui resta fino al 1984, poi smette e torna a casa. Ma si concede un cammeo nel 1988, a 39 anni suonati. Il Gif Sundsvall, non esattamente la squadra più forte di Svezia, ha un problema: il portiere titolare è infortunato, la riserva, idem. Il terzo, un ragazzino di 18 anni, è all'estero con la scuola, e la domenica c'è un match decisivo per agguantare la post-season. Gli chiedono se gli va di farne ancora una. Gli va, e ferma sullo 0-0 il Västra Frölunda, ma al Gif non basta: sarebbe servito vincere per arrivare ai playoff scudetto. 
Si ferma di nuovo, ma non ha ancora proprio finito: nel 1991 lo convincono a giocare qualche match con il Pitea, in quarta divisione svedese. Per capirci, sarebbe come se Dino Zoff avesse accettato di tornare in campo per fare qualche partita nella Pro Gorizia. "Me lo hanno chiesto i dirigenti, li conosco da anni, non mi piace dire no agli amici. E poi non è mica come fare il professionista: è una scusa per un brindisi al bar, dopo la partita". Adesso avete capito perché in Germania lo ricordano ancora volentieri.
Oggi Ronnie Hellström è un signore di 66 anni, che ognitanto fa qualche comparsata al cinema (nel senso che lo chiamano per interpretare la parte di sè stesso in questo o in quel film o telefilm) e si dedica al buon vino. 
Una decina di anni fa, quelli della televisione svedese gli avevano offerto di fare il commentatore tv, ma ha declinato: "Non è una grande idea, davvero: ci sono tanti ex calciatori che di calcio ne capiscono più di me".

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