venerdì 10 ottobre 2014

Che Visnù li assista

David James, 44 anni, portiere (Kerala Blasters), David Trezeguet, 36 anni, centravanti (Pune City), Elano Blumer, 33 anni, centrocampista (Chennaiyin FC), Fredrik Ljungberg, 37 anni, ala (Mumbay City), Joan Capdevila, 36 anni, difensore (NorthEast Utd), Luis Garcia, 36 anni, interno di regia (Atletico Kolkata), Robert Pires, 40 anni, attaccante esterno (FC Goa) e  naturalmente, Alex Del Piero, 39 anni, trequartista (Dehli Dynamos). Sono gli 8 "Marquee Players", ovvero i giocatori icona della nuova Indian Super League, al via dopodomani, 13 ottobre.
Otto squadre, tre mesi di torneo, e qualche vecchio leone, per tentare di lanciare il calcio nel subcontinente indiano. Se non si trattasse di una mera operazione di marketing applicata al calcio, ci sarebbe quasi da farsi venire una lacrimuccia al pensiero di vedere ancora sul campo campioni che ci hanno fatto sognare. Trattandosi però di una questione di vile danaro, la domanda da farsi semmai è: "funzionerà?". 
Le precedenti esperienze (tutto sommato) similari di USA e Giappone, due Paesi privi di retroterra calcistico dove questo sport è stato lanciato proprio grazie all'ingaggio di vecchi campioni al tramonto, dicono che le probabilità di successo non sono del 100%. Tanto in USA quanto in Giappone oggi esistono leghe di buon livello, in grado di generare un buon indotto, ma forse gli investimenti iniziali non hanno dato i frutti sperati, visto che nessuno di questi due campionati si può considerare di livello tale da potersi paragonare ai migliori tornei d'Europa. 
Il problema sta nella cultura sportiva di riferimento. In USA è difficile scalzare dal podio dell'interesse popolare (e dunque del marketing) discipline come il basket, il baseball o il football, consolidate nella cultura sportiva americana; lo stesso vale in Giappone, dove lo sport nazionale resta il sumo, e il più seguito a livello di pubblico è sempre il baseball, anche se il calcio ha saputo ritagliarsi un suo dignitoso spazio.
In India il "nemico" numero uno ha un nome antico, quello del cricket. Per dare un'idea della situazione, possiamo scrivere, senza timore di smentita, che mentre IM Vijayan, probabilmente il miglior giocatore indiano dell'età moderna (79 presenze e 40 reti in nazionale tra il 1989 e il 2004), può tranquillamente girare a piedi, senza essere disturbato nè forse riconosciuto, per le strade di Mumbay, Sachin Tendulkar ha bisogno di un contingente di guardie del corpo ogni volta che esce di casa.
Si può scalfire questa mentalità? Forse sì. Perchè agli indiani il calcio piace. Il problema è che non gli piace il calcio di casa loro. I fan del 'football' sono tantissimi, e la maggior parte di loro sicuramente conosce a memoria la formazione del Manchester United o quella del Chelsea. Ma salvo eccezioni, farà fatica a elencare l'undici base della sua nazionale.
Le tifoserie di Mohun Bagan e East Bengal durante un derby del Kolkata
Per quanto riguarda il torneo di casa, ovvero la Indian League (che era il campionato di riferimento prima dell'istituzione della ISL, e che rimarrà attiva), il derby del Kolkata, fra East Bengal e Mohun Bagan, le due squadre più antiche del Paese, risale al 1925 e ancora oggi spesso richiama folle superiori ai 70.000 presenti, ma la media di presenze per le partite 'ordinarie' di campionato, di solito è inferiore alle 6.000.
Tante contraddizioni. E in fondo, se pensiamo che la nazionale indiana non è mai riuscita a entrare nelle prime 100 del ranking Fifa, non c'è da stupirsi che gli indiani preferiscano veder giocare la Premiership in televisione che il loro calcio dal vivo.
Su queste basi, la ISL potrebbe anche funzionare. 
La formula prevede un torneo di tre mesi, i cui costi di gestione saranno coperti dalla International Management Group, un gigante nell'area dello Sport Management, che nel 2010 in collaborazione con Reliance (importante azienda indiana), ha omaggiato, per così dire, la Federazione Indiana di circa 116 milioni di dollari in cambio dei diritti commerciali della ISL, inclusi sponsorizzazioni, trasmissione televisiva, merchandise, video, data transmission, franchising e diritti sulle nuove squadre per i futuri 15 anni (ne riparliamo nel 2025).
In questi anni, la IMG ha convinto la Star India Network (catena televisiva indiana. Il proprietario è un certo Rupert Murdoch) a garantire la copertura televisiva del campionato. Sempre la IMG ha stabilito la distribuzione delle 8 franchigie nelle 8 città considerate commercialmente più appetibili. Restava da "vendere" le franchigie. Ebbene, una addirittura è stata comprata proprio dal nostro amico Sachin Tendulkar, l'idolo del cricket, che detiene il 50% dei Kerala Blasters, insieme al magnate Prasad Potturi. Un altro grande ex cricketer (e capitano dell'India), Sourav Ganguly, in compartecipazione con la dirigenza spagnola dell'Atletico Madrid, detiene l'Atletico Kolkata, che guarda caso giocherà con gli stessi colori dei colchoneros. Quasi tutte le altre franchigie hanno fra i soci di maggioranza almeno un attore di Bollywood o qualche corporazione di spessore. Particolari che garantiscono una certa solidità finanziaria ma soprattutto l'attenzione dei media.
Il resto, è nelle mani dei giocatori. A fianco delle superstar (i marquee players) sono stati importati altri elementi di medio cabotaggio provenienti dai campionati europei. Citiamo alla rinfusa: gli spagnoli Josemi, Koke e Borja Fernandez, gli italiani Marco Materazzi (allenatore giocatore al Chennaiyin) Belardi e Cirillo, i francesi Mikael Silvestre, Bernard Mendy e Nicholas Anelka, l'olandese Hans Mulder, il portoghese Bruno Pinheiro, lo scozzese Jamie McAllister, l'inglese Michael Chopra, il greco Alexandros Tsorvas e il romeno Adrian Mutu. Ad allenare il Goa FC ci sarà addirittura il mitico Zico.
I derby più accesi in India risalgono addirittura al 1925
Gli ingredienti perchè finalmente il calcio in India possa decollare, ci sono tutti. In compenso, se non decollerà, c'è il concreto pericolo che la ISL possa azzerare o quasi l'interesse per i giocatori locali, chiaramente ingaggiati "a rimorchio" dei campioni, con il conseguente depauperamento tecnico della Indian League, che formalmente esiste ancora, e che comunque era un campionato con una sua storia e offre qua e là situazioni che forse avrebbero dovuto essere sfruttate con la promozione in Super League anzichè con l'emarginazione. Esempi? Vale la pena sottolineare che il Mohun Bagan, il più antico club indiano, fu fondato tre anni prima del Liverpool, e giova sottolineare che, secondo l'ex tecnico del Wolwerhampton, Malcolm Purchase, gli attuali campioni della Indian League, il Bengaluru FC, contano su un impianto considerato a livello di "Premier League Facility", cioè che non sfigurerebbe nella Premier inglese. Era davvero il caso di portare il grande calcio altrove?
L'impressione è che il passo potrebbe essere più lungo della gamba. Non era forse un proverbio indiano quello che diceva "Non temere di avanzare lentamente, l'unica cosa di cui bisogna aver paura è di fermarsi"?

Un calciatore pacifista. Muhammar Gandhi (nel cerchiolino). La foto è del 1913


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