mercoledì 5 marzo 2014

Destinacao Brazil - A che punto siamo? E chi lo sa...

Se esiste un momento per fare il punto sulla nostra nazionale prima del Mondiale, dovrebbe essere questo, ovvero l'immediato post partita dell'ultima amichevole prima che il nostro ct dirami la lista dei 23 convocati.
Le prossime due uscite, le ultime due prima del debutto in Brasile, le giocheremo col gruppo definitivo. Eppure, quando l'arbitro Aranovskiy ha fischiato la fine al "Vicente Calderon", e mi sono fatto la domanda fatidica, "A che punto siamo?" non ho saputo rispondere.
Non è una questione di risultato. Le amichevoli per come le vedo io non hanno nel risultato la loro ragione principale. Si fanno per provare questo o quel giocatore (contro la Spagna è stato provato Paletta, ed è andato bene), oppure per valutare un nuovo modulo, oppure ancora per verificare la bontà delle scelte fatte fino a questo momento.
Quello che mi preoccupa non è che la Spagna ci abbia battuto: 1-0 non è un brutto risultato contro una squadra che ci è superiore tecnicamente. Quello che mi preoccupa è che ho visto una squadra che non ha ancora una identità precisa. O, se ce l'ha, non la fa vedere.
Abbiamo aspettato, ma non siamo ripartiti quasi mai; l'idea del ct, come lui stesso ha dichiarato, era di fare densità a centrocampo, pressare alto, ritengo per poi sfruttare le sponde di Osvaldo per far inserire i centrocampisti; ma se questo era il piano, siamo rimasti sempre almeno 20 metri troppo bassi. Per Prandelli è colpa della condizione fisica, ma non ne sono convinto: la Serie A è nella fase decisiva, i giocatori stanno bene; magari col campionato che incombe si saranno espressi all'80%, ma penso che il discorso valga anche per i nostri avversari. Questo per il primo tempo, il secondo non lo considero mai per valutare l'assetto generale, ma al massimo per le prestazioni dei singoli: troppi cambi allungano il brodo e confondono le idee. Uno dei problemi è che del nostro undici iniziale figuravano almeno cinque giocatori che, tutto andando bene, al debutto Mondiale siederanno in panchina. Non c'erano le due punte titolari, Giuseppe Rossi e Balotelli (e ha giocato Osvaldo, riserva nella Juve); non c'era il nostro centrocampista di rottura, De Rossi, fermato dal codice etico (una puttanata pazzesca, permettetemi. Se ci fosse stato negli anni Settanta, Benetti non avrebbe mai giocato in Nazionale), non c'era Pirlo, entrato nella ripresa, e in sua assenza abbiamo giocato senza regista, perchè a Verratti è stato preferito Thiago Motta, che è un interno, non un playmaker. In pratica, un'Italia snaturata da quella che vedremo ai Mondiali. Dunque ingiudicabile.
Anche la Spagna non mi è sembrata al suo meglio, un po' involuta, forse. Eccessivamente barocca in Thiago Alcantara, avulsa in Diego Costa. Però gli spagnoli hanno un canovaccio, anche quando come stasera recitano a soggetto. Sappiamo che recita porteranno in scena: variazioni sul tema del tiki-taka, ma sempre possesso palla, fraseggio, rifinitura per il tiro dai dieci-quindici metri. Noi, invece, siamo ancora "work-in-progress"... a tre mesi dal debutto.
Germania e Cile, due squadre che hanno un'identità molto precisa.
Prima dell'Italia (e nella prima metà del primo tempo in alternanza) ho visto uno spezzone di Germania-Cile, e quel che ho visto rafforza le mie preoccupazioni. Ha vinto la Germania 1-0, ma il Cile ha fatto un figurone. Nei primi quindici minuti, fino al gol di Gotze, i tedeschi non hanno visto palla (salvataggio sulla linea su incornata di Vidal, almeno tre parate di Neuer). La Germania è la solita squadra pratica, geometrica, lineare, con improvvisi lampi di genio in Ozil, con i lanci di Kroos e le linee di gioco di Schweinsteiger: non sarà spettacolare, ma è efficace, essenziale. Il Cile, invece, è un interessante esperimento tattico. Jorge Sampaoli ha varato un 3-5-2 che esaspera alcuni concetti: il possesso palla, il pressing "alto", gli esterni a spingere, e che si ispira al calcio totale liberando i giocatori dalla schiavitù dei ruoli. Imperativo: la qualità, anche eccessiva, perchè dei tre della linea difensiva due (Jara e Medel) non sono difensori, ma centrocampisti, e infatti sul gol hanno pagato dazio alla disabitudine al ruolo. Ma l'idea è interessante: giocare palla con almeno 9 degli undici giocatori, in otto al servizio di Sanchez, e poi gli inserimenti di Vidal. Un sogno postmoderno a cui sicuramente dedicherò spazio. Ecco: Cile e Germania hanno una strada tracciata, un'identità. Possono vincere o perdere, ma sono squadra. Noi no, non ancora. E il tempo stringe.

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