venerdì 5 ottobre 2012

Discorsi sul 3-5-2 (3) - Il ritorno del libero

Lo avevano dato per estinto, reso obsoleto dalla diffusione capillare del gioco a zona (e in qualche caso dall'esasperazione del fuorigioco), dalla necessità di giocare con la difesa "alta", dalla volontà di "accorciare" le squadre per favorire il pressing e quindi il recupero del pallone, dalla velocizzazione del gioco, che sembrava aver reso non più funzionale un ruolo nella cui interpretazione il senso della posizione era più importante del dinamismo, il senso tattico più rilevante dell'intensità. Invece è tornato.
Anche se nessuno - per ora - ha ripreso a chiamarlo col suo nome (viene identificato con il termine, abbastanza cacofonico, di "centrale di centro"), il ritorno in auge del 3-5-2 ha fatto riemergere un ruolo dimenticato in soffitta per dieci anni (almeno in Italia): quello del libero.
Chi fu l'ultimo epigono del ruolo? Difficile dirlo con certezza: a livello internazionale, probabilmente, Laurent Blanc (Alès, 19 novembre 1965), campione del Mondo con la Francia nel 1998 e d'Europa due anni dopo. In Italia, se memoria non inganna, l'ultimo fu Apolloni negli anni del Verona (guarda caso sempre attorno al 2000), anche se la sua, come quella dello stesso Blanc negli anni dell'Inter, non era già più un'interpretazione classica, quella cioè dell'ultimo uomo che giostrava qualche metro alle spalle dei compagni, ma una recita da "libero moderno", quasi sempre in linea con l'altro centrale.
La zona-pressing, si diceva, ha eliminato il libero dallo scacchiere. Direi anzitutto per definizione: nel gioco a zona non ci sono marcature fisse, si divide il campo in aree d'azione dove ognuno poi aggredisce l'avversario più vicino, e dunque nessuno è legato a marcature fisse, ma nessuno è davvero libero da marcature. Che poi è la definizione da cui nasce il ruolo.
Eppure, da un paio d'anni a questa parte, la presenza di un centrale con compiti diversi dagli altri sta nuovamente trovando diffusione. Viene spontaneo chiedersi: il calcio ha davvero fatto un passo indietro?
Ovviamente no. In realtà, ancora una volta accade che la tattica calcistica, fatta di continua evoluzione e ripensamento, ha attinto dal passato per creare qualcosa di nuovo. Ma per capire bene somiglianze e diversità fra il "centrale di centro" e il libero classico, è bene fare un passo indietro. O forse anche due.
 
Rappan e Viani
Il nome di chi inventò il libero (e con esso il catenaccio, le due cose arrivarono di pari passo) è noto, anche se a dire la verità i padri nobili del ruolo furono due, lo svizzero Carl Rappan e il nostro Gipo Viani. Siamo a cavallo fra la fine degli anni Quaranta e l'inizio dei Cinquanta, ma più che chi lo inventò o quando lo inventò, qui giova ricordare cosa era il libero all'atto della sua comparsa. Semplicemente era l'arretramento di un centrocampista dalle caratteristiche difensive alle spalle dell'ultimo difensore. Era un ruolo orizzontale: chi lo interpretava non doveva guardare alla profondità del campo, ma alla sua larghezza, "coprendo" una porzione di campo larga quaranta metri. Era un ruolo largamente innovativo: in pratica un giocatore chiamato a marcare a zona in un calcio dove tutti gli altri, a parte i portieri, seguivano l'uomo assegnato dal loro allenatore.
I primi liberi, dunque, erano centrocampisti, anzi, ex centromediani: gente dal tackle deciso, dallo spiccato senso della posizione, dalla lunga battuta, che serviva per liberare l'area. Un esempio per tutti, uno dei "protoliberi", il milanista Mario Bergamaschi (1956-57) era a tutti gli effetti un centromediano puro.
 
L'evoluzione della specie
Il primo libero era dunque un giocatore "adattato" a una posizione. E fu così ancora per tanti anni: a parte qualche significativa eccezione (in Italia per esempio potremmo parlare di Cera), il libero resta per tanti anni un giocatore che ricopre quella posizione per evoluzione: o è un difensore che non ha più il passo per stare dietro alla punta (Burgnich terminò da libero, lo stesso vale per Krol, che in origine era un terzino, anche se esponente del "calcio totale", un altro esempio è quello di Facchetti, che da libero, a 37 anni, sfiorò la convocazione per Argentina '78), o un centrocampista che arretra progressivamente il suo raggio d'azione (il più grande fu Beckenbauer, che aveva giocato i Mondiali 1966 da centrocampista puro, ma cito alla rinfusa Di Bartolomei oppure l'ultimo Zaccarelli). Naturalmente l'interpretazione del ruolo ne viene influenzata: il libero che ha trascorsi da difensore è quello che in Inghilterra chiamano "sweeper", lo spazzatore: un elemento portato anzitutto a fermare l'attaccante e liberare l'area, prima che a costruire; l'ex centrocampista, invece, è più elegante, gioca sull'anticipo, esce dall'area palla al piede o magari fa ripartire l'azione, anche se spesso è meno efficace in fase di contrasto.
Ma c'è ancora un terzo tipo di libero, il più raro, il più particolare, la significativa eccezione di cui si parlava, ovvero il libero formato nei settori giovanili, quello che ha dato al ruolo - Beckenbauer a parte - gli interpreti migliori. Ne cito quattro: il picaresco argentino Passarella, l'elegantissimo francese Tresor, i nostri (diversissimi fra loro) Scirea e Franco Baresi (che per la verità agli esordi aveva avuto qualche precedente in altri ruoli, ma si consacrò libero in giovane età).
 
Il "nuovo" libero
Dopo più di dieci anni di oblio, ecco che, gradualmente, il ruolo riemerge, seppure con dei distinguo. Non bisogna dimenticare che già nella difesa a quattro, imperante fino a un paio di stagioni fa, i compiti dei due centrali erano spesso differenziati: uno più pronto a controllare le avanzare della prima punta, l'altro deputato a coprire. Ma la riscoperta (pur con altre caratteristiche rispetto agli anni Ottanta, come visto nella seconda puntata) del 3-5-2 rappresenta una chiave di volta nella divisione del lavoro fra i difensori. Uno dei tre, infatti, diventa "diverso" dagli altri. In tutte le versioni del 3-5-2 moderno il centrale di centro scala a coprire, e in molti casi è il primo a far ripartire l'azione. Più che aggressività e concentrazione nella marcatura, questo difensore "specializzato" ha le sue qualità cardinali nella scelta di tempo per il tackle, che spesso è condotto in recupero disperato, nel senso della posizione e nella lettura della situazione tattica, nella capacità di impostare il gioco dalle retrovie.
Ad estremizzare i concetti, chiudendo idealmente il cerchio con il passato, ci hanno pensato alcuni allenatori (il primo fu Luis Henrique con De Rossi, ora c'è il caso di Gasperini e Donati) che hanno spostato alle spalle dei due centrali "marcatori" un centrocampista puro, in grado di abbinare qualità nel tackle e il senso della geometria necessario per diventare il primo regista del gioco. De Rossi e Donati come Bergamaschi, quasi sessant'anni dopo: non dite che il calcio non sa imparare dal suo passato.

(3-fine)

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