venerdì 12 ottobre 2012

Helmut Haller, il tedesco "napoletano"

Estate 1962. Da qualche parte in Lombardia un'auto sportiva guidata da un signore col papillon corre veloce verso sud. Forse troppo veloce. Infatti sbanda e finisce in un fosso, con un botto e un accartocciarsi di lamiere.
La scena non è delle più rassicuranti. L'uomo col papillon si trascina fuori dall'abitacolo, ma quasi subito torna indietro verso la macchina, anzi quel che ne resta, gridando "Presidente, presidente, sta bene?". L'uomo col papillon è Raffaele Sansone, e su quell'auto con lui c'è il presidente del Bologna Renato Dallara.
Dall'Ara è già anziano, la botta è stata forte. Sansone teme il peggio, ma il vecchio numero uno rossoblù esce dalla macchina arzillo, sventolando un foglio di carta. "E' salvo, è salvo! Il contratto de Aler è salvo!".
L'Aler del contratto si chiama in verità Helmut Haller (Augsburg, 21 luglio 1939 – Augsburg, 11 ottobre 2012), ed è un'estrosa ala appena prelevato, con una certa fatica, dal club della sua città, l'SV Augsburg.
Nonostante un fisico più da camionista che da calciatore (in effetti proprio l'autotrasportatore era il lavoro che, da semiprofessionista, affiancava al calcio quando era in Germania), Haller col pallone ai piedi è un talento naturale: fantasioso, irresistibile in dribbling, capace di vedere la porta da tutte le posizioni ma anche di favorire con un tocco filtrante il suo centravanti. Qui un estratto del tedesco in maglia rossoblù.
Genio e sregolatezza, Haller compone con Perani, Bulgarelli, Nielsen e Pascutti una linea avanzata favolosa che infatti, nel 1963-64, porterà il Bologna a conquistare il suo ultimo scudetto. Ma per i tifosi non è solo gioia: genio e sregolatezza, ama la buona cucina, il buon vino e le donne. Anche perchè, per un errore di gioventù, si ritrova sposato con tale Frau Waltraud (Gertrude per i giornali italiani), una specie di gelosissima SS in gonnella, che oltre a controllarlo strettamente (ma non abbastanza per evitare brutte sorprese) gli fa anche da procuratore. Dirà di lei anni dopo Giampiero Boniperti, uno che all'epoca riusciva a far firmare ai suoi giocatori contratti in bianco: "Era l'unica capace di mettermi un po' di soggezione".
Dopo aver rubato con destrezza il pallone della finale mondiale 1966 (confesserà il furto 30 anni dopo), fra bizze e querelle (il dualismo con Nielsen, qualche eccesso gastronomico, un rapporto difficile con la bilancia), Haller si consolida come protagonista del Bologna. Nel bene come nel male: nella Coppa delle Fiere 1967-68, alla vigilia dell'andata della semifinale contro il Ferencvaros a Budapest, legge un articolo del Guerin Sportivo che lo critica e annuncia che non scenderà in campo. Lo convincono, ma gioca male. Al ritorno a Bologna, i felsinei pareggiano 2-2 e escono dalla competizione: Haller viene inseguito da tifosi inferociti e preso anche a ombrellate. Per i suoi atteggiamenti da viveur un po' narciso e un po' esibizionista, lo battezzano "Il Napoletano".
Resta al Bologna fino al 1967-68 quando, non più amatissimo dai tifosi, viene ceduto dal presidente Goldoni (quello dei profilattici) alla Juventus per 450 milioni. Un affare, per un giocatore ritenuto sul viale del tramonto. Peccato che alla Juve Haller giocherà ancora cinque stagioni, con due scudetti, una finale di Coppa Campioni e la convocazione per i Mondiali di Messico 1970.
Chiusa nel 1973 la sua parentesi con la Juventus, Haller torna in Germania, e contro ogni pronostico, vista la sua mole in continua "lievitazione", continua l'attività fino alla soglia dei 40 anni, vestendo la maglia del suo amato Augsburg fino al 1979. Al termine della sua ultima partita, i tifosi lo salutano intonando il loro coro preferito: "Haller, Haller, Hallerluja".
Ritiratosi a vita privata, si toglie qualche soddisfazione: lascia Waltraud e si sposa altre due volte, l'ultima nel 2003 con la cubana Noraimy Rodriguez, all'epoca ventunenne; nel frattempo beve come un tedesco, fuma come un turco, mangia come un bisonte e si gode la vita. Almeno finchè nel 2006 un infarto lo obbliga a regimi più controllati. Minato dalla demenza e dal morbo di Parkinson, dirada via via le sue apparizioni pubbliche fino alla scomparsa.
Eletto miglior centrocampista d'attacco del Novecento dalla stampa tedesca, se ne è andato con un ultimo dribbling la sera del 10 ottobre. E ora aggiunge un  pezzo a quel Bologna che si diceva giocasse solo in Paradiso, e che ora, con molti dei suoi effettivi, lo sta facendo veramente.

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