venerdì 27 gennaio 2012

Giornata della Memoria - La lezione di "Cartavelina"

Sembra una festa. Beniamino Gigli avrebbe potuto definirla "un tripudio di colori e di bandiere", ma basta guardarle bene, quelle bandiere, che in quel pomeriggio del 3 aprile 1938 tappezzano tutti gli edifici pubblici di Vienna per capire che non sono finite lì spontaneamente.Le hanno piazzate, con teutonica precisione, i militanti nazisti austriaci, bene attenti a far vedere, al centro, la croce uncinata. Dicono si tratti di una annessione pacifica, si chiama "Anschluss", dicono serva a riunire sotto un'unica bandiera i fratelli di lingua tedesca. Ma per gli austriaci perbene quelli non sono fratelli, sono i nuovi padroni.
Sembra una festa (e dovrebbe esserlo) quel giorno, anche al Prater, lo stadio viennese, dove anche il calcio è chiamato a dare il suo omaggio al grande evento. C'è una partita che si annuncia particolare: l'Austria, intesa come nazionale austriaca, scende in campo per l'ultima volta. Dopo questa partita i migliori giocatori austriaci indosseranno la divisa della nazionale tedesca, con tanto di svastica sul petto, e insieme ai "fratelli tedeschi" andranno a caccia del Mondiale, a Parigi, nel mese di giugno.
L'organizzazione ha previsto tutto, d'altra parte è un'organizzazione tedesca: nel 1934 la Germania e l’Austria sono arrivate, rispettivamente, terza e quarta; la selezione tedesca è fortissima, ma manca di esperienza e fantasia, che però i calciatori danubiani hanno in abbondanza. Gli farebbe magari comodo anche un tecnico esperto e capace, come l’austriaco Hugo Meisl, l’uomo che ha inventato il “Wunderteam”, ma Meisl è morto nel 1937. Non che ai tedeschi dispiaccia troppo... quel signore un po' spocchioso una volta assistendo a una gara della Grande Germania aveva fatto notare che i giocatori della nazionale erano "Lauter Eschechen" (tutti Boemi).
Ma anche senza il tecnico il materiale umano per costruire la miglior squadra nazionale del mondo e fare propaganda alla razza ariana c'è tutto. Peccato per un piccolo problema: al Ministero della Propaganda non potevano certo prevedere che il più forte giocatore austriaco di tutti i tempi, Matthias Sindelar (Kozlov, 10 febbraio 1903 – Vienna, 23 gennaio 1939), detto "Cartavelina" fosse ebreo. Ma stanno cercando di risolvere il problema e se quello non fa colpi di testa, è molto probabile che la questione passi sotto silenzio.
Intanto al Prater 60.000 persone vogliono vedere la partita. E tutti i viennesi, sotto sotto, sperano che la loro Nazionale non li deluda, e faccia vedere ai tedeschi che l'Austria esiste ancora, e calcisticamente, semmai, la provincia è la Germania.
Il "Wunderteam" non tradisce. Trascinato da Sindelar, che è un leone, e sciorina tutto il suo repertorio, in uno dei migliori match della sua carriera. Tocca a lui segnare il gol decisivo del 2-1 che annichilisce i "fratelli tedeschi" e fa molto arrabbiare i gerarchi nazisti assiepati in tribuna. Anche perchè il Mozart del Calcio dopo aver segnato accenna ad un beffardo giro di valzer sotto la tribuna autorità.
A fine partita, i calciatori, secondo il curatissimo protocollo degli organizzatori, sono chiamati a salutare i gerarchi nazisti presenti in tribuna, per rendere omaggio alla "fratellanza ritrovata" col saluto nazista. Tutti i calciatori austriaci lo eseguono, tranne due, Matthias Sindelar ed il suo fedele compagno Karl Sesta, che assolutamente si rifiutano.
D'altronde, soprannomi a parte, Sindelar è un "duro". Orfano fin da piccolo (il padre morì sull'Isonzo nel 1917) vive in ristrettezze la sua gioventù. La madre apre una lavanderia nel quartiere povero di Vienna e con essa mantiene Matthias e le tre sorelle che crescono rapidamente. Sindelar, quando non aiuta la madre, gioca per le strade con una palla di stracci, e la sua abilità non passa inosservata, unita ad un fisico filiforme e un’innata eleganza.
Passa prima nella squadra dell’Herta, il club del quartiere, poi, a 21 anni, entra nel Wiener Amateure, la squadra che diverrà l’Austria Vienna. La sua carriera decolla. Molto alto per l'epoca, un viso emaciato lo fa sembrare molto più magro di quanto sia in realtà e a ciò (oltre che a problemi congeniti al ginocchio destro) deve il suo primo soprannome, “Der papiereine” che gli resterà addosso per tutta la carriera. Fra un infortunio e l'altro la sua carriera sembra destinata a finire prestissimo, ma lui è un duro, l'abbiamo detto. Su consiglio di un celebre chirurgo si sottopone ad un intervento al menisco dal quale si riprende con la feroce applicazione in una terapia di rieducazione che per l’epoca è una autentica novità.
Da allora non si toglierà più la pesante fasciatura protettiva sul ginocchio destro, destinata a diventare la sua compagna più fedele difendendo la delicata articolazione da possibili nuovi traumi che avrebbero decretato definitivamente  la fine della sua carriera agonistica. Invece, con l’Austria Vienna, il suo club, domina il campionato e vince due volte la Coppa Europa, antenata della Coppa dei Campioni.
Il suo talento non sfugge al fiuto leggendario di Hugo Meisl, l’uomo che sta costruendo la migliore rappresentativa nazionale che l’Austria abbia mai avuto.
Con l’innesto di Sindelar nasce il “Wunderteam”, una squadra destinata a segnare un’epoca: dal maggio del 1931 all’aprile del 1933 l’Austria guidata da “cartavelina” mette in fila una serie eccezionale di risultati, numeri che ancora oggi impressionano : 16 partite, 12 vittorie 2 pareggi e 2 sconfitte, 63 reti segnate (una media di quasi quattro a partita) e solo 20 subite.
Naturalmente Sindelar brilla di luce propria: in queste 16 partite gli almanacchi gli attribuiscono 27 gol. Nel 1933 il Wunderteam fa tremare anche i maestri inglesi che a Wembley vincono 4-3 ma rischiano molto e rimangono strabiliati dalle giocate di un Sindelar letteralmente incontenibile, autore di una rete che oggi sarebbe definita “alla Maradona”. Partì dalla linea di metà campo e superò cinque avversari. Giunto sul fondo,fece due dribbling a ritroso e depose la palla in rete.  I club inglesi gli fanno ponti d'oro ma Sindelar sceglie di restare in Austria, dove è un idolo e dove, quando la sua carriera volge al termine, vive una vita piuttosto agiata, ma tranquilla.
La sua modestia e la sua riservatezza sono leggendarie, potrebbe vivere da nababbo, invece continua ad occupare, assieme alla madre, un semplice appartamento al numero 75 di Quellenstrasse, lontano dai quartieri alti.
Ma con l'Anschluss la situazione per lui peggiora rapidamente. L’antisemitismo nell’Austria di quegli anni è una marea che monta inesorabile e colpisce parenti, amici, semplici conoscenti di Sindelar, che ne rimane profondamente impressionato.
L’Austria Vienna, la società cui è legato da sempre, è una squadra nella quale molti dirigenti sono di origine ebrea che immediatamente vengono rimossi dai loro incarichi e sostituiti da fedelissimi.
I giocatori, per motivi di opportunità restano al loro posto, ma Sindelar non perde occasione per mostrare il suo coraggioso dissenso.
Capita per esempio che una volta, incontrando il vecchio presidente Michl Schwarz, epurato perché ebreo, lo saluti a voce alta dicendo: “Il nuovo ‘fuhrer’ dell’Austria Vienna, ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla
La sua avversione ostentata verso il nazismo suscita imbarazzo, mentre la situazione politica interna precipita e sono sempre in meno quelli disposti a difenderlo per il suo valore di calciatore prezioso alla causa tedesca. I vertici del Partito lo vorrebbero proscritto, ma ai mondiali del giugno 1938 la Germania è affidata ad  un allenatore giovane, Sepp Herberger, che sarà poi il tecnico del vittorioso Mondiale 1954. Herberger è un tecnico serio e preparato, e non un nazista fanatico, conosce il valore di Sindelar e sa quanto sarebbe importante poter contare su di lui. Intercede presso i gerarchi e ottiene di convocarlo. Matthias, tuttavia, si rifiuta di giocare: prima dice di sentire dolore al ginocchio infortunato, poi, imparando a conoscere il suo interlocutore chiede, educatamente, di essere lasciato fuori, di non indossare quella maglia che non è la sua.
Il forfait di Sindelar viene ufficializzato e d’improvviso gli viene a mancare quello schermo protettivo che fino a quel punto gli era stato garantito dalla sua fama di campione.
La brusca fine della carriera internazionale, ma soprattutto la preoccupazione per la sorte dei suoi cari lo fanno cadere in uno stato di depressione.      
Il 26 dicembre 1938, a Berlino, gioca la sua ultima partita: un incontro amichevole fra l’Austria Wien e l’Herta Berlino. Segna anche un gol, l’ultimo.
Morirà meno di un mese dopo, il 23 gennaio 1939, a nemmeno 36 anni. Lo troveranno morto nel suo letto accanto alla sua compagna di quel periodo, l'ebrea italiana Camilla Castagnola, che morirà pure lei dopo pochi giorni di coma senza aver mai ripreso conoscenza. A quella morte inspiegabile resta solo la versione ufficiale: avvelenamento da monossido di carbonio, un maledetto incidente dovuto ad una stufa difettosa. Ma in molti hanno dei dubbi e la Polizia austriaca, di solito meticolosa, mostra un’insolita fretta nell’archiviare il caso. Dopo la guerra il rapporto sulla sua morte non si troverà più.
I tedeschi hanno fretta di chiudere il caso, preferirebbero esequie in forma privata, quasi clandestine.
Invece la sede dell’Austria Vienna è tempestata di telegrammi da tutta l’Europa: alla fine se ne conteranno oltre 15.000 ed il suo funerale sarà seguito da non meno di 40.000 austriaci pronti a sfidare i divieti, più o meno palesi, dei nazisti.
E quando l'Austria riacquisterà la libertà, la sua salma sarà traslata nel “Cimitero centrale di Vienna” in un mausoleo messo a disposizione della famiglia dall’autorità cittadina.
Da allora, il 23 gennaio di ogni anno, pochi giorni prima del “Giorno della Memoria”, sulla tomba di Matthias Sindelar si tiene una semplice cerimonia cui partecipano i dirigenti della Federazione Austriaca, dell’Austria Vienna, ed i sempre meno numerosi superstiti del “Wunderteam”.
Anche giocando a calcio, si può amare la libertà. Questa è la lezione di Matthias Sindelar.

Se volete, c'è un bel filmato da vedere qui.

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