venerdì 1 febbraio 2013

7 giugno 1981: inferno al "Ballarin"

Nello stesso giorno, San Benedetto del Tronto assapora insieme la gioia sportiva e la disperazione che accompagna le tragedie. Accade il 7 giugno 1981, il giorno della terza promozione in B dei rossoblù, ma anche il giorno di un grave episodio di cronaca, dove si mescolano insieme tragica fatalità, colpevole trascuratezza e una imponderabile concatenazione di eventi.
Quel 7 giugno la città è in festa. La Sambenedettese, affidata a Nedo Sonetti col compito di riconquistare la B perduta al termine della stagione 1979/80, ha praticamente compiuto la sua missione. I rossoblù sono una squadra fortissima, dove giostrano numerosi elementi destinati a lasciare una traccia nel calcio: il portiere, per esempio, è un giovane dallo stile acrobatico e guascone, si chiama Walter Zenga, ed è di proprietà dell'Inter; davanti a lui, il libero è invece un signore ossuto e baffuto sulla trentina, Luigi Cagni, dal passo corto e dal grande senso tattico, che è anche il capitano della squadra e una sorta di allenatore in campo: la stoffa c'è già. Ci sono anche il bomber Speggiorin, ex Perugia in serie A, e il ruvido difensore Bogoni, un nome che ricorderà qualcosa ai tifosi del Cagliari.
La Samb è prima, e ad insidiare la promozione diretta è rimasto solo il Campobasso di Maestripieri e D'Ottavio (sarà promosso l'anno appresso), staccato di due punti. Basta un pari, e l'occasione è ghiotta perchè al "Fratelli Ballarin" arriva il Matera, già retrocesso. La città è pronta ad esplodere e si tinge di rossoblù: si gioca alle 17, ma già alle 15 lo stadio brulica di persone: ne può contenere 20.000, ma forse ne è entrata addirittura qualcuna in più, e in particolare la curva sud, covo degli ultras, brulica dell'entusiasmo di 3500 tifosi. I fedelissimi hanno ideato una coreografia adeguata al grande evento: una grande B rossoblù, un tripudio di striscioni e bandiere, fumogeni in tinta così numerosi da coprire il sole, e razzi bengala. E poi, sette quintali di 'papelitos': avete capito bene, settecento chili di trucioli di carta da gettare sul campo per celebrare gioiosamente una giornata indimenticabile. Il mitico “Frangì di Barabba”, supertifoso rossoblù ha tirato fuori la tromba d’ordinanza, quella dei tempi migliori.
Ma non ci sarà nulla per cui gioire. Alle 16,55 le squadre entrano in campo e si accendono i fumogeni, la grande 'B' sale al cielo sollevata da palloncini rossi e blu, e si canta. Ormai è quasi estate, fa caldo. Forse troppo. Un caldo strano: al centro della curva, forse per colpa di un mozzicone, forse per un bengala, la carta ha preso fuoco, e il focolaio diventa presto un rogo, perchè i 'papelitos' sono appoggiati dovunque. La folla cerca scampo, mentre il fuoco divampa qua e la, ed è il panico. Qualcuno cade, resta schiacciato, si rialza, altri scavalcano la rete e trovano scampo sul terreno di gioco, quasi tutti si accalcano ai due lati della curva: "Fateci uscire", ma il settore è chiuso a chiave, e le chiavi non si trovano. C'è un estintore, ma non funziona. Il tempo passa drammaticamente e in tanti restano ustionati: quando finalmente il rogo viene spento, con gli idranti usati per innaffiare il campo, i feriti gravi, che saranno portati in ospedale in elicottero, a San Benedetto, ad Ascoli, ma anche a Roma e a Cesena, sono 64. Altri affolleranno l'ospedale in serata, lamentando contusioni, fratture, distorsioni, legate allo scavalcamento delle barriere per rifugiarsi in campo, con un salto dai 5 ai 15 metri (!). I casi più gravi sono quelli di due giovani donne, Maria Teresa Napoleoni di 23 anni, segretaria presso una ditta calzaturiera e Carla Bisirri di 21 anni che da poco aveva iniziato l'attività in proprio di parrucchiera: moriranno entrambe pochi giorni dopo. In campo, in compenso, non si colgono fino in fondo le proporzioni dell'accaduto, e l'arbitro Tubertini, un 36enne orefice di Bologna, in accordo coi capitani, farà giocare la partita. Racconterà, pochi giorni dopo, al "Resto del Carlino": «Una cosa inconcepibile, pazzesca, assurda. Eravamo entrati in campo, con le due squadre in leggero anticipo sulle consuetudini (...). Stavamo effettuando il sorteggio del campo con i due capitani, quando improvvisamente si è levato un gigantesco falò dalla curva Sud (...) erano stati venduti molti biglietti, il pubblico era stipatissimo, uno spettatore sull'altro. E un po' tutti avevano portato allo stadio quintali di carta straccia per farne strisce, coriandoli, altre cose. C'era il caldo elevatissimo, e il fuoco si è acceso (...). Secondo il mio modesto parere, è probabile che sia stato il fiammifero usato per accendere il razzo ad appiccare il fuoco. Caldo, tutta quella carta, l'incendio è divampato in un momento. Ci metta gli abiti di materia sintetica che molti usano in questa stagione; insomma è diventato un enorme e tragico falò. La mia prima impressione era stata che ci fosse stato un gesto terroristico (...). Siamo corsi là sotto, e si sono viste cose terribili. Un paio di donne, una specialmente, erano trasformate in torce umane. Alcuni cercavano di salvarsi buttandosi in campo, oltre il filo spinato. Io chiedevo ai dirigenti della Sambenedettese dove fosse la chiave del cancelletto che separa la gradinata dal campo, ma questa chiave non saltava fuori: non si sarebbero potuti salvare tutti, ma qualcuno sicuramente sì. L'acqua è arrivata con un serio ritardo perché il bocchettone presso la curva non funzionava e si è dovuto usare l'altro al centro del campo (...).» — Non è mai stata presa in considerazione l'ipotesi di non effettuare la partita? — «Ho fatto quello che mi impone il regolamento ma, di più, ho usato la mia personale sensibilità. I capitani, i dirigenti delle due squadre, su mia richiesta tutti si son detti risoluti a giocare la partita, anche per evitare guai più seri, tutt'altro che da escludere con quella enorme tensione accresciuta dal dramma. Quando sono state spente le fiamme ed i feriti sono stati portati via, mi sono recato sotto quella gradinata dietro la porta, mi sono rivolto al pubblico rimasto per sapere se erano rimasti moralmente scossi. Hanno detto che si doveva giocare. E forse è vero che, se avessi mandato via tutti, sarebbe stato peggio (...) poi nell'intervallo sono arrivate notizie (anche arrangiate) secondo cui non c'erano state conseguenze particolarmente gravi. e la ripresa è stata un po' più vivace. Certo, questa partita non contava più nulla, dopo l'immensa tragedia. Cose che colpiscono, che turbano, che ci fanno domandare perché il calcio debba avere anche di questi terribili risvolti».

Serie C1 1980-81 - 34^giornata
San Benedetto del Tronto, stadio "F.lli Ballarin"

Sambenedettese-Matera 0-0

Sambenedettese:
Zenga; Rossinelli, Cavazzini, Schiavi, Bogoni, Cagni, Caccia, Speggiorin, Perrotta, Ranieri, Colasanto.A disp.: Pigino, Tedoldi, Sanzone, Ceccarelli, Romiti. All.: Sonetti

Matera: Casiraghi; Generoso, Genovese, Angelino, Imborgia, Raise, Pavese, Gambini, Merlin, Peragine, Raffaele. A disp.: Centioni, Giannattasio, Cicchetti, Pierobon, Cifarelli. All.: Antezza

Arbitro: Tubertini di Bologna


 
 

Nessun commento:

Posta un commento