domenica 4 dicembre 2011

Era meglio un asino vivo

Ho scritto qualcosa ieri e avrei fatto a meno di scrivere dell'altro oggi. Non certo per la fatica.
Dal Brasile arriva una brutta notizia: è morto Socrates, il dottore.
Se il calcio è poesia, c'è una filastrocca che non ha avuto il successo che i suoi undici componenti avrebbero meritato: Waldir Peres, Leandro, Luizinho; Oscar, Junior, Cerezo; Falcao, Socrates, Serginho, Zico, Eder. è la formazione-tipo del Brasile 1982. Nove geni del calcio, un portiere appena sufficiente (Waldir Peres) e un centravanti, Serginho, che, per caratteristiche e valore assoluto, potrebbe tranquillamente trovare un sosia tattico in Caracciolo.
Una squadra fortissima, forse un po' spocchiosa, ma meravigliosa a vederla giocare.
Fra questi undici, lo confesso, Socrates (nome completo: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira; Belém, 19 febbraio 1954 - San Paolo, 4 dicembre 2011) era quello che trovavo più simpatico. Purtroppo è stato anche il primo ad andarsene.
Centrocampista longilineo (192 cm per 80 chili), aveva tiro preciso, capacità di inserimento, buona proprietà di palleggio, e soprattutto una visione di gioco straordinaria, che esprimeva al meglio con i suoi colpi di tacco: sembrava avere gli occhi dietro la testa (guardate qui...).
Soprannominato "Il Dottore" per la sua laurea in medicina (ma contrariamente a quanto si dice, non fece mai il medico), Iniziò la sua carriera al Botafogo nel 1974. Dal 1978 al 1984 militò invece nel Corinthians, di cui divenne capitano ed icona. Emerito rompiscatole, divenne famoso per aver fondato, insieme ad alcuni compagni di squadra, la "Democracia Corinthiana": insieme al compagno Wladimir fondò questa specie di cellula socialista che diceva la sua su ogni questione che emergeva in spogliatoio. «Ogni decisione era presa all'unanimità - raccontava lo stesso Socrates - si proponevano due o tre soluzioni che venivano poi votate, e la scelta della maggioranza diventava la scelta di tutti». Dagli orari dei pasti agli allenamenti e ai ritiri prepartita (si ottennero sedute differenziate e esenzione dai ritiri per i giocatori sposati). Ma anche le questioni politiche. In un Brasile che usciva dalla dittatura, i Corinthiani Democratici ottennero di stampare sulla parte posteriore delle loro maglie la scritta "Dia 15 Vote" cioè "Andate a votare il giorno 15", data stabilita per le elezioni del 15 novembre 1982, che avrebbero sancito la prima nomina di deputati federali, senatori, governatori e sindaci, primo passo per uscire dalla egemonia militare.
Nel 1982 il Corinthians vinse il campionato con la parola "Democracia" stampata sulle magliette.
Nel 1984, a 30 anni, Socrates, parlando davanti a un milione e mezzo di persone, fece una promessa: «Mi ha cercato un club italiano. Ma se in congresso passerà l'emendamento constitucional (un emendamento che avrebbe ristabilito le libere elezioni presidenziali, ndr) non andrò all'estero». L'emendamento non passò e il dottore andò alla Fiorentina.
Fu l'inizio della fine. Grande fumatore e bevitore (non c'è intervista in cui non sia ritratto con una birra in mano), collassò alla prima serie di ripetute al ritiro di Serramazzoni. All'inizio della trattativa che lo condusse a Firenze, voluta direttamente dal conte Pontello, il ds Italo Allodi rassegnò le dimissioni. Motivo: «Non si può pensare di mettere accanto a Pecci, che per mantenere il peso forma rinuncia anche agli spaghetti, un giocatore che fuma quaranta sigarette al giorno e gira sempre con una lattina di birra in mano». Aveva ragione.
Appena sbarcato in Italia, forse desideroso di fondare una sorta di “Democracia Fiorentina”, cominciò una personale campagna a favore degli allenamenti differenziati. Differenziati per lui in particolare, come è naturale. Un po’ imbarazzato, mister De Sisti non diede ascolto a rivendicazioni così palesemente in contrasto con l’evoluzione del calcio, sempre più atleticamente spinto, e impose al giocatore gli stessi carichi di lavoro dei compagni. Socrates si squagliò: sempre in ritardo agli allenamenti, pigro e svogliato, apparve lontano anni luce dal trascinatore che il mondo intero aveva ammirato. E non rinunciò mai alla fedele lattina di birra e al pacchetto di sigarette quotidiano.
Il suo rendimento in campo fu compromesso da questa condotta, e dalla evidente incompatibilità tattica con Pecci, l’uomo che dettava i ritmi del gioco. La lentezza del barbuto brasiliano divenne in breve proverbiale: la Fiorentina, partita con grandi ambizioni, terminò la stagione nell’anonimato più completo, desolatamente a centro classifica. Il nuovo tecnico Aldo Agroppi, designato per succedere a De Sisti, senza peli sulla lingua si affrettò ad annunciare che se Socrates c’era, bene, ma se per caso doveva non esserci, ancora meglio.
Messaggio ricevuto. Il Dottore tornò in Brasile, al Flamengo, dove restò due stagioni, guidando da capitano la nazionale brasiliana ai mondiali del Messico. Poi chiuse la carriera nel Santos nel 1989. Nel 2004 tornò in campo per un cameo in Inghilterra, con il Garforth Town, squadra dilettantistica di cui fu brevemente anche allenatore.
Un fegato danneggiato, problemi di natura intestinale, un fisico minato da anni di stravizi, lo conducono in breve al tracollo. Dopo tre ricoveri in ospedale, gli viene diagnosticata una cirrosi.
Il 1 dicembre va a mangiare con i familiari in un ristorante di San Paolo. Il cibo è avariato, tutti i commensali stanno male, ma lui, viste le precarie condizioni fisiche, sta peggio di tutti: una infezione intestinale gli costa la vita a 57 anni. Morire per un filetto alla Strogonoff: in fondo è una fine aristocratica, e tutto sommato penso che al Dottore, uno che aveva detto «Fumo da quando avevo 13 anni, non dovrei cercare di fingermi diverso da come sono, e anche se morirò di cancro o di enfisema, non mi interessa, perchè nessuno deve sforzarsi di essere diverso da come è nato», possa anche andare bene di lasciarci così.
Però non posso fare a meno di riflettere su un particolare: dice un proverbio che un asino vivo è meglio di un dottore morto. Non è vero: Socrates è morto, Serginho invece sta benissimo. E il Dio del calcio è sommamente ingiusto.

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