giovedì 29 dicembre 2011

Due scarpate all'arbitro e una beffa alla Milizia

Ed eccoci a raccontare un'altra storiella paracalcistica dell'Italia del Ventennio, quando il calcio non era sport da donnette e con l'ordine garantito dall'inflessibile saldezza della fascistissima milizia non era lecito scherzare. Quando c'era Lui, insomma.
Il 24 maggio 1931, sul prato (beh, prato: pietre, polvere e qualche ciuffo) dello stadio "Ascarelli", allora casa degli azzurri, si sfidano il Napoli dell'italoparaguaiano Attila Sallustro (Asunción, 15 dicembre 1908 – Roma, 28 maggio 1983)  e l'Internazionale di Peppino Meazza. Lo scudetto l'ha già vinto la Juventus, ma la partita è comunque importante e la folla gremisce le tribune.
La partita si mette bene per il Napoli: alla fine del primo tempo, proprio Sallustro con un gran tiro supera il portiere dell'Ambrosiana e deposita in rete l'1-0. Ma nella ripresa la classe di Meazza emerge su tutto e su tutti: il "Balilla" prima pareggia con un tiro dalla distanza, quindi, poco dopo, riceve palla a metà campo, evita in successione tre napoletani, invita all'uscita il portiere Cavanna, lo fa sedere con la sua caratteristica finta e entra in porta palla al piede. Quindi mette la palla sottobraccio e, senza esultare, ma a testa alta e petto virilmente in fuori si avvia sotto la tribuna, quasi a voler guardare in faccia i tifosi partenopei che fino a quel momento lo avevano fischiato e insultato.
Ovviamente, l'atteggiamento di Meazza finisce con l'infiammare il pubblico (alcune cronache riportano che, ad evitare ogni equivoca interpretazione della sua esultanza, il "Balilla" abbia anche completato l'opera con un inchino seguito dal gesto dell'ombrello, probabilmente eseguito con plastica eleganza). Fatto sta che la folla dà in escandescenze, prima verso Meazza, e quindi verso l'arbitro Scorzoni di Bologna, reo di non averlo espulso. Il direttore di gara sospende la partita, poi fa riprendere e prova a portarla a termine, ma non è aria. Timoroso per la sua incolumità, l'arbitro assegna al Napoli un calcio di rigore decisamente generoso, che l'ala Tansini trasforma, ma nemmeno il regalo basta a placare la folla, che comincia a tirare oggetti alla giacchetta nera (le tribune dell'Ascarelli erano vicinissime al campo).
Per la verità i tiratori si dimostrano generalmente maldestri, ma in tribuna laterale c'è un vero cecchino: si chiama Domenico Fenuta, per tutti "Mimì", che si toglie le scarpe, le lancia in rapida successione a Scorzoni e realizza un eccellente due su due: un colpo al petto, uno al mento.
L'arbitro fischia tre volte, poi si accascia, ma entra in scena l'inflessibile milizia fascista: la polizia infatti è decisa ad arrestare il colpevole e a punirlo esemplarmente, ché l'italica industria dell'olio di ricino non subisca flessioni produttive.
Come trovare il lanciatore? Semplice: si bloccano tutte le porte d'uscita tranne una, e si fanno uscire gli spettatori uno alla volta, finchè non si trova quello a piedi nudi.
Mimì Fenuta si rende conto che la situazione è seria. Ma è napoletano, perbacco, l'inventiva non gli manca. Incarica pertanto due suoi amici che abitano nei pressi dell'Ascarelli di uscire rapidamente, correre a casa e portargli un paio di scarpe. Per farle entrare nello stadio useranno le aste delle bandiere che dal settore "distinti" sporgono verso l'esterno.
Don Mimì fa passare qualche minuto e poi, lentamente, si sposta verso le aste e con gesti teatrali dà inizio all'ammaina-bandiera, come un qualunque inserviente dello stadio, ma in realtà approfitta dell'occasione per gettare all'esterno uno dei capi della corda che reggono il vessillo azzurro. L'amico aggancia le scarpe e a Fenuta non resta che ripescarle col verricello.
Ma c'è una brutta sorpresa: le scarpe sono di un numero in meno rispetto alle sue. Camminare è un trauma, ma l'astuto spettatore trasforma il problema in vantaggio: con passo lento e viso dolorante si avvia all'uscita, dove continuano i controlli della milizia, e con faccia sofferente apostrofa il gerarca che dirige le operazioni: "Eccellenza, faciteme 'o piacere e mme rà 'a precedenza: numme facite aspettà tutta chesta fila... Ie tengo certi calle che so' gruosse comme 'e cipolle e me fanno male assai". Non parliamo certo delle germaniche SS: i gerarchi fascisti tengono "anema e core"; convinto dal viso sofferente, ordina ai miliziani di farlo passare, e mentre polizia e arbitro Scorzoni restano in speranzosa attesa di scoprire il lanciatore di scarpe, Domenico Fenuta se ne torna tranquillo a casa sua. Con le scarpe in mano e a piedi nudi. Sarà lui stesso, vent'anni dopo, a raccontare al quotidiano cittadino il gustoso aneddoto.
Tutto è bene ciò che finisce bene, eccetto che per il Napoli: la gara, ritenuta virtualmente sospesa sull’1-2, al momento delle turbolenze in campo, prima del rigore assegnato per “ammorbidire” l’ambiente, fu data vinta all’Ambrosiana per 2-0 e il campo dell’Ascarelli fu squalificato per una giornata.

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