domenica 21 agosto 2011

Il senso tattico di Luis Henrique

Un detto popolare delle Asturie recita: "ser español es un honor, ser asturiano es un titulo": essere spagnolo è un onore, essere asturiano è una patente di nobiltà. In queste radici di un popolo evidentemente dotato di una elevata considerazione di se stesso, si colloca la formazione umana e sportiva di Luis Enrique Martinez Garcia (Gijon, 8 maggio 1970), nel calcio semplicemente Luis Enrique. Nella sua carriera da professionista, durata in tutto 15 stagioni (dal 1989 al 2004) l'attuale tecnico della Roma ha indossato tre diverse maglie (Sporting Gijon, Real Madrid, Barcellona), disputato da professionista 400 partite, e vestito per 67 volte (5 in U21, 62 da 'senior') la maglia della nazionale spagnola.

Noto agli sportivi italiani soprattutto per una gomitata in faccia subita da Tassotti nei minuti finali del Quarto di Finale di USA 1994 che gli cambiò discretamente i connotati, è stato in realtà giocatore di buon profilo internazionale. Interno di centrocampo, oppure ala sinistra con licenza di rientrare per il tiro, la sua caratteristica principale quando calzava gli scarpini era il senso del gol (ne ha segnati 103 in 400 partite nella Liga e 5 in 62 con la nazionale maggiore). Dotato di forte personalità, notevole dinamismo e istintive capacità di inserimento, non è però passato alla storia come elemento di eccezionale senso tattico, un particolare che, evidentemente, si porta dietro anche da allenatore.
Non c'è dubbio, infatti, che solo un elemento dotato di forte personalità e alta considerazione di se stesso avrebbe potuto, come ha fatto lui, proporre, al suo primo impegno ufficiale sulla panchina della Roma (il preliminare di Europa League con lo Slovan Bratislava) una squadra con Caprari in campo e Totti relegato in panchina.
"Scelta tecnica, gioca chi è in forma", la spiegazione. Che tecnicamente non fa una grinza, ma che ha fatto 'zzare come una bestia il Capitano, che forse non ha tutti i torti.
Intendiamoci: pur non frequentando il campetto di Trigoria, non ho molti dubbi che in questo momento il Pupone, appesantito da età non più verde, carichi di lavoro dovuti alla preparazione (quando si ha un'età non più verde i tempi di recupero sono più lunghi) e da un fisico che appare decisamente meno asciutto di quello di dieci anni fa, sia meno reattivo del giovane (e promettente) Caprari.
Ma il calcio è un gioco che ha le sue regole non scritte, e una di queste è che ci sono giocatori importanti al di là delle proprie condizioni atletiche. A 35 anni Francesco Totti (che non ho l'onore di conoscere di persona, ma del quale ho sentito parlare da tanti colleghi più importanti di me come persona decisamente più intelligente di quanto pensi l'opinione pubblica) sa benissimo di non poter più giocare 50 partite l'anno, ma per le sue qualità tecniche e caratteriali può ancora essere l'uomo in più della Roma nelle partite più importanti. Oltre a questo, per i meriti acquisiti e per la sua romanità, è più di un capitano: è un simbolo, il totem della tribù, e ci sono partite che i totem non possono saltare. Una di queste, quando c'è un progetto tecnico nuovo, è la prima stagionale.
La mossa di Luis Enrique non è stata geniale: intanto perchè la Roma ha perso, il che, con lo Slovan Bratislava, non è un gran risultato. Avrebbe perso anche con Totti in campo dall'inizio? Forse, probabilmente, quasi certamente. Ma intanto manca la controprova; in compenso, l'entrenador si è appena giocato l'appoggio in spogliatoio del Capitano. L'unico giocatore in attività che nella sede della società ha un ufficio riservato con il proprio nome sulla porta, tanto per capirci*
La storia insegna che ai vari Del Neri, Spalletti e Ranieri le incomprensioni tattiche con il Pupone non hanno portato particolarmente bene, e Luis Enrique, con tutto il rispetto per le sue rivoluzionarie idee tattiche, non ha il curriculum di chi lo ha preceduto, visto che il Barcelona Athletic e il Barcelona B non sono esattamente palcoscenici di alto livello. Non voglio dire che gli manchino le capacità, ma una cosa gli manca di sicuro: Luis Henrique finora non ha mai dovuto gestire uno spogliatoio contenente elementi in grado di accoppiare età, esperienza e carisma: un conto è guidare una formazione giovanile, o una squadra B composta per il 90% da giovani di straordinario avvenire (ma tutti Under23) e per il 10% da elementi più anziani ma ormai fuori dal giro della prima squadra, ben diverso è bulleggiare con un giocatore che incarna l'essenza stessa della maglia che indossa. Diverso e, forse, pericoloso.

(* NB: Con la nuova gestione Di Benedetto, la concessione al giocatore di un ufficio di rappresentanza potrebbe essere oggetto di revisione).

Nessun commento:

Posta un commento