mercoledì 29 ottobre 2014

In memoria di un boscaiolo

Lo chiamavano "Il boscaiolo di Ödeshög", perchè da quelle parti, in Östergötland. aveva qualche albero. Per la precisione una foresta di 815 ettari. Abbastanza da camminarci dentro fino alla vecchiaia, quella vecchiaia che purtroppo Klas Inge Ingesson (Ödeshög, 20 agosto 1968 – Ödeshög, 28 ottobre 2014) non potrà godersi. Ci scambiai qualche parola ai tempi della sua ultima stagione a Bologna (1999-2000). Avevano fatto un'infrasettimanale in zona, prima della trasferta sul campo del Torino, se non ricordo male. Da giornalista, ero ai primissimi passi, lui un giocatore più che esperto, ma insolitamente alla mano nel modo di porsi.
Capelli radi e rasati, nasce come centrocampista centrale, ma in gioventù, quando i capelli erano tanti e parecchio più lunghi, era stato un laterale di grande passo, e in quel ruolo lo aveva notato il Malines, nella primavera del 1990. Il suo allenatore, Roger Gustafsson, aveva scelto un modo un po' particolare per comunicargli che c'era un'offerta per lui dal Belgio: "Klas, ti vuole il Malines. Cercano un centrocampista di buona corsa, ma di senso tattico, che faccia anche qualche gol. Gli ho detto che con te vanno sul sicuro, che sei uno solido. E poi tiri bene anche i rigori". "Ma io non tiro i rigori". "Sì, ma gli serviva un rigorista, quindi da oggi ti alleni per tirarli. Meglio che impari". 
E da buon svedese, Klas impara. Impara così bene, da essere uno dei rigoristi impiegati (con successo) nello storico quarto di finale di USA 1994 con la Romania, che lancia i Blågult al loro miglior risultato di sempre dopo la finale del 1958. Va anche a segno, il boscaiolo, in quella partita, ma l'arbitro inglese Philip Don gli annulla il gol per un fallo di Dahlin in area. 
La Svezia terza a USA 1994.  Nella foto commemorativa, Ingesson è seminascosto in seconda fila

Intanto, nel bel mezzo fra Europei e Mondiali c'è già stato il cambio di ruolo, legato a un infortunio, che lo ha trasformato in mediano di posizione: una metamorfosi che solo i giocatori più intelligenti possono compiere senza perdere la nazionale.
Sugli anni italiani, sorvolo: Bari, Bologna, poi il cameo di Lecce dopo la parentesi a Marsiglia, ma ormai la carriera è al tramonto e il suo bosco chiama.
Spacca legna per un paio d'anni, poi la moglie lo richiama in servizio e lo convince a rimettersi gli scarpini per aiutare l'Ödeshögs IK, squadra dove ha cominciato la carriera e che langue in quinta divisione. Diventa allenatore-giocatore, poi allenatore. 
Poi gli viene il mal di schiena.
Uno strano mal di schiena, di quelli che durano 7 mesi e non se ne vanno più. Fa gli esami, e l'esito è agghiacciante: mieloma multiplo. I libri dicono che si può curare, si può rallentare, ma non si guarisce più. E i più fortunati sopravvivono 5 anni.
Il giornalista svedese Johan Orrenius aveva scritto di lui quando ancora giocava: "Klas Ingesson è nato con i pugni stretti. Un giocatore animato da fiera determinazione, abituato a lottare dal primo minuto, fin quando la partita è finita".
Esattamente così: Ingesson lotta per 5 anni e due mesi, e in quei cinque anni fa a tempo a diventare allenatore delle giovanili dell'Elfsborg, poi vice allenatore, e infine, dal settembre 2013, l'allenatore della prima squadra dopo le dimissioni di Jorgen Lennartson. In mezzo, tanta chemio, due trapianti di staminali, il male che per due volte sembra vinto e invece ritorna ciclicamente, portando con sè fratture a un braccio e a una gamba e l'umiliazione della sedia a rotelle. E poi la fine.
Spiace. Anche se sapevo che la sua era una partita di quelle che non si possono vincere, ma solo portare avanti fino ai supplementari, o magari ai rigori (e lo sapeva anche lui), avevo sperato che in qualche modo ce l'avesse fatta quando avevo letto dell'incontro con l'amico Enrico, che merita di essere letto sul suo blog. Non so quanto valesse come allenatore, ma sicuramente come persona avrebbe potuto insegnare molto.


PS: nello stesso giorno di Klas Ingesson, il calcio perde anche Antonio Sibilia, presidentissimo del grande Avellino. Sarebbe stato bello ricordarli insieme in un solo post, ma calcisticamente non si sono mai sfiorati, e come persone erano così agli antipodi che nemmeno Mandrake avrebbe potuto trovare il modo di farcela. Del "Commendatore di Mercogliano" parlerò in un altro momento. I pretesti non mancheranno

Nessun commento:

Posta un commento