martedì 17 giugno 2014

Guardo il Mondiale, sono insensibile

Avrei dovuto immaginare che prima o poi sarebbe successo. D'altra parte, un paio d'anni fa, c'era stato chi, su Facebook, leggendo del mio interesse per gli Europei 2012, mi aveva tacciato di essere un fiancheggiatore di coloro che, in Ucraina, si macchiavano di efferati crimini contro gli animali: "Come puoi guardare una manifestazione ospitata in un luogo dove torturano e uccidono per divertimento i cani randagi?". Sì, perchè non guardandoli ne avrei sicuramente salvato qualcuno.
Due anni dopo, per i Mondiali in Brasile, la storia si ripete, e stavolta con una accusa sociale ben più importante, anche perchè stavolta mi arriva da qualcuno che non vedo da un po', ma continuo a considerare una persona di grande sensibilità e senso critico, oltre che un amico, con cui condivido anche una certa impostazione verso l'antagonismo sociale.
Tutto nasce da quando, poco prima dei Mondiali, mi segnala via twitter questo articolo, che leggo subito e con un certo interesse. La mia risposta è questa: "So che non è tutt'oro ciò che luccica ma per me il calcio, al di là degli interessi che muove, è ancora gioia". Dopo qualche giorno, arriva la replica, piuttosto articolata. Si parte da un "mi chiedo come puoi passare sopra alle violenze che ci sono.gli sgomberi.la povera gente. E per cosa? la gioia?" e poi i toni si alzano. "pecchiamo d'egoismo sfrenato ai limiti dell'incosapevolezza. Questa è l'unica realtà" fino a "qui non è questione di gioia, ma di diritti umani. Da te mi aspettavo qualcosa di meglio".
Non è proprio così. E comunque non penso proprio di essere inconsapevole: alcune cose del Brasile le conosco. Per esempio, chiunque scaricando e leggendo questo interessante report, (io ho fatto questo circa un mese fa) potrà venire a conoscenza del fatto che il Brasile è "il quarto paese più ineguale in distribuzione del reddito di tutta l'America Latina, superato solo da Guatemala, Honduras e Colombia. Nonostante sia una delle più grandi economie del mondo (da un altro articolo, ma stavolta fidatevi senza link, è la sesta, ma si prevede diventi la quinta entro il 2020), 16,2 milioni di brasiliani (8%) vivono in condizioni di estrema povertà (con massimo 70 reais al mese, circa 24 euro), e quasi il 35% della popolazione vive in condizioni abitative molto scadenti. Il 6% della popolazione vive in favelas, 12,9 milioni di persone sono analfabete, il 37% dei bambini di 6-24 mesi sono malnutriti, la salute pubblica ha gravi carenze (dati IBGE, 2012)".
Queste cose, personalmente, le sapevo. Sfatiamo dunque almeno l'accusa di inconsapevolezza.
Chi mi conosce sa che non sono una persona che accetta passivamente quelle che ritiene ingiustizie, e che laddove ritiene di poter far qualcosa per cambiare uno status quo ingiusto, agisce in prima persona, se occorre manifestando. Aggiungo che, probabilmente, se quando avevo 18 anni ci fossero stati i sistemi di videosorveglianza che ci sono adesso, avrei avuto qualche problemino in più con le forze dell'ordine.
Insomma, socialmente non mi ritengo un insensibile egoista e non credo di essere visto come tale.
In Brasile però non posso agire in prima persona. Ci sono ingiustizie? Penso che i brasiliani abbiano tutte le ragioni per protestare. Spero anzi che le loro rivendicazioni vengano esaudite. Ma io qui, cosa potrei fare di concreto per loro?
Scrivere un articolo sui problemi del Brasile, forse, ma dubito fortemente che sarebbe un modo incisivo per cambiare le cose, e personalmente l'azione diretta mi piace, a patto però che abbia uno scopo.
Poi c'è un altro problema, e cioè cercare di capire come vanno normalmente le cose in Brasile. Il Mondiale di calcio è davvero il vaso di Pandora da cui scaturisce ogni male? Fra due anni da quelle parti ci saranno anche le Olimpiadi, probabilmente gestite dalla stessa cricca di affaristi e procacciatori di affari, perchè di questo si tratta. E su questo punto non sono convinto che il calcio, o le Olimpiadi siano il male. Sono due opportunità che i comitati di affari usano per arricchirsi alle spalle dei poveri, e se non ci fossero, ne troverebbero altre. O qualcuno pensa che in Italia il campionato di calcio sia la vera causa del nostro progressivo impoverimento, o che il ciclismo fosse la causa della miseria dei primi anni Cinquanta? 
La storia del Brasile, anzi, al riguardo è piena di racconti e testimonianze che dicono esattamente il contrario, cioè che il calcio storicamente è sempre stato un veicolo di emancipazione per i brasiliani più poveri o al margine della società. Per esempio, fu il primo sport ad accettare i neri (anche se inizialmente, ai primi giocatori di colore era richiesto di mettere in viso della cipria, per attenuare... la differenza coi bianchi). E se un esempio solo non basta, potrei aggiungere che in un Paese che ha un tasso di omicidi per abitante fra i più elevati del mondo (in questa poco invidiabile classifica l'Honduras è primo, e il discorso può essere preso pari pari) il calcio è un buon veicolo per salvare almeno una percentuale di ragazzi da frequentazioni che potrebbero portarli prematuramente sottoterra.
Potreste dire: sì, ma gli espropri? Ma gli abusi? Quelli, in Brasile, ci sono sempre stati. Certo, fa notizia che gli abitanti di centinaia di favelas vengano sfrattati e le loro case (?) distrutte per far spazio ad uno stadio dei Mondiali (è accaduto a Pernambuco). Ma in passato le stesse cose succedevano per fare centri commerciali e/o grattacieli. Mi sembra chiaro che ci siano tutti i motivi per essere indignati, ma è difficile pensare che queste cose siano accadute per colpa dei Mondiali. Penso che sarebbero accadute comunque, con altre giustificazioni. Anche senza la Coppa del Mondo, non credo che il governo brasiliano avrebbe stanziato i suoi reais per la Cultura o per la Salute. Triste, forse, ma vero.
In questa pagina internet, si dà una interpretazione social-ideologica della situazione brasiliana: un quadro non certo lusinghiero per gruppi d'affari, politici senza scrupoli e per la FIFA (che tante volte sembra una riuscita ibridazione di queste due categorie). Il quadro si conclude così: "La lotta di classe si sviluppa prima, durante e dopo la Coppa del Mondo. Il problema centrale è il sistema in cui viviamo, il capitalismo. Organizzare ed elevare il livello di coscienza della classe lavoratrice e dei giovani, è il compito centrale dei rivoluzionari in tutto il mondo per abbattere questo sistema e costruire una vera soluzione, il socialismo". Tralasciando la conclusione, su cui si può essere o meno d'accordo (la sua valenza concettuale è palese, i suoi riscontri pratici nella storia piuttosto scarsi, ma in fondo su questo blog parliamo di calcio), ne condivido il contenuto.
Il Mondiale, anzi, è una buona vetrina per fare se non altro conoscere al mondo i mille problemi quotidiani dei poveri del Brasile, degli sfrattati, degli ultimi. Se i Mondiali fossero stati assegnati al Cile, credo che tutto il mondo conoscerebbe il dramma del popolo Mapuche, che nel frattempo protesta tutti i giorni ma prende solo un sacco di manganellate senza che i nove decimi dell'umanità sappiano nemmeno dei suoi problemi.
Mi avvio quasi a concludere: basta un normale uso di internet e una conoscenza superficiale del portoghese per visitare qualche sito brasiliano e sentire le interviste fatte ai manifestanti: la quasi totalità protesta, si dice indignata perchè i soldi pubblici sono andati alla costruzione degli stadi e non alla Sanità o all'Istruzione, si dice disposta a assediare il Parlamento, ma non parla di fermare i Mondiali. Per gli stessi brasiliani il calcio resta allegria. Resta lo sport della povera gente (non a caso il giocatore più amato in Brasile non è stato Pelè, ma Garrincha, uno che era nato storpio e poverissimo e che è morto alcoolizzato e poverissimo, perchè era pieno di soldi ma non sapeva cosa farsene. Lo chiamavano "Alegria do povo", l'allegria del popolo). 
Qualunque brasiliano, anche lo sfrattato, probabilmente vi racconterebbe che non odia il calcio per la sua situazione: al limite odia il suo governo. E forse fa bene. Ma questo valeva prima dei Mondiali, e varrà anche a Mondiali finiti. Il brasiliano povero avrebbe probabilmente barattato l'organizzazione dei Mondiali con un po' di soldi in più, o un sistema sanitario più efficiente, o più soldi per l'istruzione (e come dargli torto?), ma ancor più probabilmente, se la sera la tv nei bar trasmette la partita del Brasile, è il primo a guardarla e tifare.
Per maggiori informazioni su cosa sia il calcio per i brasiliani, mi permetto di invitare tutti alla lettura di un libro, adattissimo anche a chi appassionato di calcio lo è poco o per nulla: "Futebol", di Alex Bellos. 
Fra l'altro, c'è dentro anche una parte della storia di Cotonete, che vi ho già raccontato.
E con questo, io ho detto la mia. E se guardare un Mondiale significa essere rozzo, egoista e magari inconsapevolmente insensibile, non siete obbligati a frequentarmi.

Nessun commento:

Posta un commento