lunedì 28 aprile 2014

Vujadin Boskov: convinse la Samp a diventare adulta

Ne hanno parlato tutti, e poi sapere che era morto mi aveva fatto così dispiacere che avevo deciso di non scrivere niente. Poi ho cambiato idea, perchè a vedere le trasmissioni televisive in cui è stato commemorato, i "coccodrilli" sui giornali, il ricordo dei semplici tifosi, il rischio è che Vujadin Boškov (Begec, 16 maggio 1931 – Novi Sad, 27 aprile 2014) resti nell'immaginario collettivo come un grande inventore di massime e aforismi. Sarebbe un peccato perchè relegherebbe al ruolo di macchietta un grande allenatore. Era un uomo che sapeva farsi amare, sapeva parlare col prossimo, e soprattutto sapeva dialogare coi propri giocatori. Ma sapeva anche di tattica (non si allena per tre anni, 1979-1982, al Real Madrid, senza sapere di calcio) e forse proprio per questo è brutto che quello che la gente si ricordi di lui è solo che "rigore è quando arbitro fischia". Quello è parte di un'altra fetta del suo bagaglio tecnico e umano, quello di un uomo che parlava tre o quattro lingue (oltre al serbo-croato, anche spagnolo, italiano, olandese e un po' di francese) senza averne imparata nessuna alla perfezione, ma riuscendo comunque a regalare perle indimenticabili. Pensateci un po': mentre i vari Boban e Mihajlovic usano i congiuntivi meglio di tanti italiani, il buon Vujke dopo dieci anni in Italia aveva ancora difficoltà con l'indicativo. Qualche volta usava il verbo all'infinito per non sbagliare; l'unico slavo che in dieci anni non padroneggia l'italiano. Ma quanta efficacia nel comunicare: grande allenatore, grandissimo comunicatore.
Credo sia per questo che Paolo Mantovani, un uomo molto attento all'aspetto delle relazioni umane nel calcio, aveva scelto proprio lui per guidare quella banda di discoli che la sua Samp era ancora nell'estate 1986. Dopo la risalita in serie A, aveva fatto incetta dei migliori giovani del nostro calcio; nel 1986 Vialli e Mancini hanno 22 anni, Luca Pellegrini 23, Salsano, Mannini e Pari 24. Nelle prime tre stagioni, i suoi ragazzi li ha mandati in collegio, con due sergenti di ferro come Ulivieri e Bersellini; ora, per non perderli, deve allentare un po' le briglie. O almeno dare l'impressione di farlo. 
Quello slavo dall'aria paciosa e dagli occhi piccoli, che è arrivato in Italia per un'intuizione di Costantino Rozzi che lo ha addirittura convinto ad abbracciare la causa dell'Ascoli, è l'uomo giusto. 
Nell'immaginario collettivo, l'autorevolezza del Boskov allenatore ha molto risentito di una battuta che il più malizioso dei suoi ragazzi, Vialli, aveva fatto una volta per scherzare col suo ex sodale Mancini, appena chiamato ad allenare la Fiorentina e obbligato a frequentare il corso di Coverciano. "Sono almeno 10 anni che alleni, finalmente hai deciso di prendere 'sto patentino. Era ora". Ma fra gli insegnanti di Coverciano, in quel 2002, c'era proprio il professor Boskov. senza panchina dopo l'ultima esperienza da allenatore della nazionale Jugoslava.
In mezzo, prima della Nazionale, c'era stato il Napoli di Rincon, Buso e Pecchia, e c'era stata la Roma, dove aveva fatto debuttare un Pupetto che sarebbe diventato Pupone. Con entrambe aveva fatto delle belle cose, ma forse era destino che il blucerchiato gli rimanesse addosso, indelebile.
Ho sentito dire (da fonte peraltro molto qualificata, quale è Mario Sconcerti) che Boskov è stato un grande allenatore perchè, a cavallo fra gli anni Ottanta e i Novanta, ha saputo mediare fra le suggestioni della zona sacchiana e i retaggi del gioco a uomo. Mi permetto, con infinito rispetto, di dissentire. Vujadin non mediava: la sua Samp giocava a uomo in maniera schietta e decisa: Mannini e Vierchowod sulle due punte (e povere punte), Luca Pellegrini ultimo uomo staccato di almeno un paio di metri, e sull'altra fascia un terzino un po' più portato all'offensiva, ma nemmeno troppo (prima Antonio Paganin, poi Briegel, poi Lanna, al massimo Gambaro). Sulla mezzala, un mediano come Pari (o come Fusi). Dove gli piaceva la qualità, era da centrocampo in su: prima Matteoli, Cerezo e Salsano, poi Dossena, Mikhailichenko e Lombardo, fino all'attacco dove Vialli e Mancini avevano alle spalle in panchina di volta in volta Ganz o Branca, non proprio delle scartine. Il concetto era semplice: riprendiamo palla e facciamola arrivare il prima possibile a quelli davanti, possibilmente alle punte. Non c'è molta mediazione, e in effetti i suoi ragazzi, tranne Pagliuca e in parte Mancini e Lombardo non trovarono tappeti rossi con l'Arrigo, quando divenne ct. 
Ai miei occhi, Vujadin Boskov sarà sempre quello che ha saputo convincere la Sampdoria a diventare adulta. E un uomo che sapeva trovare nel calcio un modo molto serio per divertirsi e divertire. Non è roba da poco. 
Poi, naturalmente, anche a me piacevano le sue frasi. La migliore? Secondo me una che utilizzò per descrivere una partita, già vinta, che la sua Samp aveva gettato via. "Fatto come mucca di Bosnia, che prima riempie secchio di latte e poi dà calcio al secchio". Pensate cosa ci avrebbe regalato se solo gli fosse venuto voglia di studiare davvero l'italiano...

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