domenica 29 dicembre 2013

'Er Moviola'

Nessuno è perfetto. Il presidente della Roma anni '80, Dino Viola, per esempio, era uno che senza dubbio di calcio ne capiva. Eppure la sua competenza non gli impedì di prendere uno dei peggiori granchi della storia dell'immigrazione pallonara, quello legato al nome di Jorge Luiz Andrade da Silva (Juiz de Fora, 21 aprile 1957), meglio noto col solo 'apelido' di Andrade, ancora oggi incubo di migliaia di tifosi romanisti. Corre l'estate 1988, quando dopo un lungo corteggiamento, Viola riesce a convincere il brasiliano (11 presenze in nazionale, ma in quegli anni la 'auriverde' non era propriamente un dream team) a vestire i colori giallorossi.
Al presidentissimo l'operazione col Flamengo, dove Andrade dirige - ai suoi ritmi - una mediana ricca di talenti, costa 1 miliardo e 300 milioni. A centrocampo ci sono già Giannini e Manfredonia, e un centrocampista brasiliano dai piedi buon sarebbe proprio la ciliegina sulla torta: ecco dunque trovato "l’erede di Falcao". Forse sottovalutando due dati: ha già 31 anni e nel suo curriculum calcistico c'è anche un'esperienza in Venezuela, non esattamente un campionato che attira fuoriclasse. Lo sbarco a Roma di Andrade apre anche un altro problema: i giallorossi hanno uno straniero di troppo, e ne sono ammessi solo tre. Si decide di tagliare Klaus Berggreen, baffuto centrocampista danese che i giallorossi avevano prelevato (pagandolo bene) dal Pisa di Anconetani. Berggreen è uomo ragionevole ma non sentimentale: accetta di andare via, ma vuole la buonuscita, ed è uno dei primi giocatori a richiederla. Totale: 2 miliardi e mezzo, a cui si sommano il miliardo netto per il cartellino e i 300 milioni di ingaggio a colui che in Brasile chiamano "O Marajà".
Liedholm, il maestro dello 'slow foot', accoglie con entusiasmo l'ingaggio di Andrade: "Somiglia a De Sisti, è intelligente e ha visione di gioco". Il nostro invece scende dall'aereo e la spara grossa: "Sono abituato a correre molto", millanta il 10 agosto 1988 alla Gazzetta dello Sport. Ma omette di dire a quale ritmo, un dato non secondario che emerge palese già dalle prime amichevoli. Forse non è del tutto colpa sua: fra Nazionale e Flamengo, è reduce da oltre 50 partite consecutive, senza aver mai fatto vacanza, e questo ne riduce ulteriormente la mobilità, ma è un dato di fatto che Andrade viaggia a due all'ora, e l'impietosa tifoseria romanista lo soprannomina subito "Er Moviola". Tocca il punto più basso della sua carriera nella sfida di Coppa Uefa che la Roma disputa a Dresda: il campo è ghiacciato, Liedholm lo tiene in panchina e a un certo punto lo fa entrare, ma al primo pallone giocato il brasiliano manca la sfera e si spetascia (pare al rallenty) faccia in giù nella neve: sostituito istantaneamente. Quella sera stessa riceve in regalo un biglietto aereo sola andata Roma-Rio de Janeiro: sono bastate 9 partite per decretarne la totale inadeguatezza al campionato italiano. I tifosi, esasperati, espongono uno striscione eloquente: "Andrade tutti a fanculo". Quell'anno la Roma (dove Renato si segnala come ottimo frequentatore di night club, locali in cui viene avvistato molto più spesso che a Trigoria) finisce addirittura fuori dalla zona-coppe. 
Andrade oggi
Andrade, invece, lentamente secondo il suo stile, si ritaglia un nuovo spazio in Brasile: Firma prima col Vasco da Gama (1989, ndr) con cui vince anche uno scudetto locale, quindi col Flamengo, dove resta diversi anni diventando anche allenatore-giocatore. Chiuderà la carriera a 40 anni. Risulta essere stato l'unico giocatore ad aver vinto 5 campionati brasiliani (4 con il Flamengo e 1 con il Vasco de Gama), oltre ad una Coppa Libertadores e una Coppa Intercontinentale. Da allenatore dopo esperienze, senza infamia nè lode, con Atletico Paranaense, Brasiliense e Boavista di Rio de Janeiro, è entrato per qualche anno nello staff del Flamengo e al momento gironzola in est Europa: dopo avere allenato la Dinamo Tbilisi, è diventato tecnico del Vasas Budapest.

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