giovedì 14 novembre 2013

Revival Verona (3) - Il meccanismo perfetto

Dove eravamo rimasti? Ah sì: estate 1984: il Verona di Osvaldo Bagnoli è quasi fatto. Al tecnico, per completare il mosaico mancano due tasselli: uno, imprescindibile, è una punta potente, che possa integrarsi con Galderisi. Lo scozzese Jordan ha appena trapanato l'acqua, e nella stagione precedente la squadra si è affidata a un assetto con due punte leggere, (Galderisi appunto, e Iorio) che però non ha mai soddisfatto pienamente il tecnico. Al punto che in molte partite Bagnoli ha fatto giocare da torre d'area Massimo Storgato, che pure di ruolo sarebbe uno stopper. Il secondo tassello è un mediano, un elemento di corsa e di esperienza in grado di far tirare il fiato a Volpati, che va per i 34.
In estate, i dirigenti si adoperano e trovano all'estero i due pezzi mancanti. Il più importante è un danese che arriva dal Belgio, dove ha segnato 98 gol in 190 partite nel Lokeren. Si chiama Preben Elkjaer Larsen (Copenhagen, 11 settembre 1957) e lo chiamano "Den Gale Mand fra Lokeren" (tradotto significa "Il Pazzo da Lokeren"), oppure "Cavallo Pazzo", per il suo peculiare stile di gioco. Difficile inquadrarlo con i canoni di oggi: è una seconda punta, perchè ama svariare, ma è anche molto forte fisicamente, dall'alto dei suoi 183 centimetri e 83 chili. Grande fumatore, al punto che è sua abitudine fumarsi una 'bionda' nell'intervallo, ha però polmoni e grinta che lo rendono quasi imprendibile in progressione. Per le sue caratteristiche fisico-tecniche, si completa a meraviglia con Galderisi.
Il secondo tassello viene invece dalla Germania, si chiama Hans Peter Briegel (Rodenbach, 11 ottobre 1955), ha muscoli anche sui pollici, e non per nulla lo chiamano "Il Decathleta", fra l'altro nel decathlon ha anche ottenuto buoni risultati in gioventù. Tanto sgraziato quanto efficace e fortissimo fisicamene, Briegel in nazionale gioca terzino; Bagnoli lo reinventa, con grandi risultati, mediano: una barriera davanti alla difesa. Vi siete chiesti da dove viene l'idea di piazzare un frangiflutti davanti alla linea difensiva che farà grande il Milan di Capello (vedi Desailly)? Eccovi la risposta.


Come sia andata quell'annata, beh, è abbastanza noto. Scudetto, contro ogni pronostico possibile. Sarà stata l'efficacia dei gialloblù, ci avranno forse messo del loro il sorteggio arbitrale integrale, o la clamorosa annata-no di Juve e Inter. O forse tutte le cose insieme: fatto sta che il Verona di Bagnoli vince col suo pieno merito il suo primo (e unico) scudetto. E quasi immediatamente scopre che sarà molto difficile ripetersi, perchè Fanna, a maggio, è già d'accordo con l'Inter, perchè Garella ha già firmato col Napoli, perchè Marangon (andrà all'Inter anche lui) sta per sparire ingoiato dalla popolarità (e dalle donne che ad essa si accompagnano), perchè Volpati ha 34 anni, e perchè i dirigenti, Chiampan e Guidotti, per confermare gli altri artefici dello scudetto, dovranno gratificarli con cifre fuori dalla loro portata e questo sarà l'inizio della fine.
Ma intanto, il Verona si gode il suo trionfo. E Bagnoli quello del suo credo tattico. Di cui si è tanto parlato, ma che assai poco, per la verità, è stato studiato. Come giocava allora quell'inimitabile Verona?

Il credo di Bagnoli
Sfatiamo il mito dell'allenatore che sta un passo avanti: Osvaldo Bagnoli è un cultore del gioco all'italiana e prosegue lungo il solco della nostra scuola nazionale. Naturalmente aggiungendoci del suo. Le marcature difensive sono a uomo, c'è il libero, la squadra è schierata secondo il sistema di gioco di quegli anni, in cui tutti, più o meno, si disponevano in campo alla stessa maniera. In compenso, non è un integralista, e anno dopo anno inserisce elementi nuovi ad arricchire il proprio gioco. Dalla Nazionale di Bearzot prende il ricorso alla "zona mista": a centrocampo il suo Verona gioca principalmente a zona. In difesa non disdegna il fuorigioco, che gli scaligeri non applicano in modo sistematico, ma comunque più della media della serie A.

Sul campo, in un'epoca in cui la tattica è molto meno esasperata di oggi (invertire le due ali a partita in corso negli anni Ottanta era quasi stregoneria), il Verona di Bagnoli evidenzia comunque alcuni tratti chiave.
-1 In campo sempre due registi: uno difensivo (il libero Tricella, poi sostituito, più avanti, da Soldà), uno a centrocampo (inizialmente Dirceu, poi per molti anni Di Gennaro): il primo ha compito di gestire palla, uscire col pallone al piede dall'area di rigore oppure tentare l'impostazione con un lancio di preferenza verso la fascia; il secondo si interessa degli schemi da applicare dalla metà campo in su e verticalizza prevalentemente con lanci filtranti verso le punte. Descritto così, sembra quasi di trovare qualche punto in comune con la Juventus di Conte. Non ci sarebbe da stupirsi troppo. Anche perchè... 
-2 Occorre consentire ai registi di giocare palla con una certa tranquillità. Perchè questo avvenga, è necessario proteggerli con giocatori aggressivi sulla metà campo. I centrocampisti di spola di Bagnoli sono tutti caratterizzati da una forte capacità di tackle, doti caratteriali sopra le righe e, nel caso di Briegel, che si sdoppia fra fascia e interno del campo, notevole fisicità. 
Dal centro, la palla, se non passa dal regista di centrocampo per la verticalizzazione, deve essere smistata il prima possibile sulla fascia, per tenere largo il fronte del gioco. Quando il Verona attaccava disponeva sempre di due elementi alti sulle ali: a destra Fanna (e dopo di lui Verza e Caniggia), a sinistra un terzino capace di proiezione, spunto in velocità e cross (Briegel, e quindi De Agostini, infine Pusceddu).  
-3 Le punte sono sempre due. Le squadre di Bagnoli (vedi oltre al Verona anche il Genoa) hanno sempre dato il meglio con un'accoppiata definita complementare: un giocatore agile e uno possente; un elemento d'area e uno mobile. Di solito il giocatore più fisico è il centravanti e quello più rapido la seconda punta (nel Genoa di Bagnoli sarà così con Skuhravy e Aguilera); nel Verona dello scudetto accadeva il contrario: in area il mingherlino Galderisi, grande opportunista; a sfruttare gli spazi il potente Elkjaer, che parte da fuori area. Questa stessa soluzione Bagnoli l'aveva già sperimentata l'anno del primo posto in B con Gibellini-Penzo, cambiando poi strada per due anni di fila: nel 1982-83 per la presenza di Dirceu, un fantasista a cui non poteva essere chiesto, per questioni di anagrafe, lavoro in copertura: quell'anno, con Penzo prima punta, il secondo attaccante era di fatto Fanna con le sue incursioni dalla destra; nel 1983-84 per la presenza di due punte agili, come Galderisi e Iorio. Il ritorno alla tipologia di attacco che meglio conosceva certamente aiutò Bagnoli a rendere più efficiente il Verona.


I movimenti-trappola
Uno dei caratteristici movimenti - trappola del Verona di Bagnoli. Nella figura 1, Galderisi si fa seguire dallo stopper attirandolo fuori area; contemporaneamente, Elkjaer taglia al centro da sinistra seguito dal proprio terzino, e Fanna fa lo stesso dalla fascia di destra. Con i due terzini obbligati a seguire il movimento delle punte, Di Gennaro scivola sulla destra  (senza essere seguito dal proprio dirimpettaio) e ha un cross facile, senza avversari intorno e con due diverse opzioni: il portiere non sa a che santo votarsi per evitare la rete.


C'è poi un aspetto, poco studiato, del Verona dello scudetto, che è forse la peculiarità più importante. Bagnoli, pur credendo ciecamente nel gioco 'a uomo', aveva capito una cosa: che la marcatura fissa poteva produrre scompensi e aprire spazi più della zona. Infatti, se un giocatore offensivo, muovendosi, riusciva a trascinare il proprio marcatore in aree inusuali del campo, si poteva aprire uno spazio per l'inserimento di un centrocampista o di un difensore. All'epoca, infatti, i registi e i trequartisti non inseguivano il proprio marcatore quando questi tentava di proporsi in avanti, anche perchè sapevano di poter contare sulla presenza di un libero.

Nel Verona Campione d'Italia, i movimenti-trappola principali erano dati dall'accentramento di Fanna, che facendosi seguire dal terzino apriva spazi per gli inserimenti di Di Gennaro, che spesso si decentrava a destra, dai tagli di Elkjaer e dall'accentramento di Briegel, che portava spesso la superiorità numerica al centro del campo. Il gioco veronese era soprattutto verticale (molte le azioni in cui con 4 passaggi si passava da un'area all'altra), ma quando si trattava di controllare il gioco, Bagnoli intasava la metà campo alzando i terzini e togliendo spazi ai registi avversari. Lo stesso ricorso frequente al fuorigioco permetteva di schiacciare le due linee di centrocampo e difesa, rendendo molto difficile il gioco sulla trequarti: un aspetto importante perchè molte squadre (la Juve di Platinì, l'Udinese di Zico, l'Inter di Brady e il Napoli di Maradona, per citarne alcune) affidavano proprio al trequartista il compito di fare la differenza.
Un meccanismo di alta orologeria, costruito da un bravo artigiano pezzo dopo pezzo, con un lavoro di tre anni. Questo era il Verona di Osvaldo Bagnoli, vincitore dello scudetto più imprevedibile degli ultimi 40 anni.


(3 - Fine)

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