venerdì 29 novembre 2013

Kubala, 'tigrotto' mancato

Se fossero riusciti a tesserarlo, probabilmente una piccola squadra sarebbe riuscita a lottare per lo scudetto. Invece la storia di Ladislao Kubala (Budapest, 10 giugno 1927- Barcellona, 17 maggio 2002) con la maglia dei tigrotti della Pro Patria resta un romanzo incompiuto, con la guerra fredda sullo sfondo e alcune dimostrazioni di come la legge, nel calcio, non sia proprio uguale per tutti.
Ungherese di Budapest, Kubala aveva rivelato il suo talento in età precocissima: pare addirittura che il suo debutto da professionista in Ungheria fosse avvenuto all'età di soli 12 anni. Prima al Ferencvaros, poi al Vasas, la sua carriera era in forte ascesa quando, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per evitare il regime comunista, fuggi in Cecoslovacchia, paese di origine di sua madre. Naturalizzato ceco, proprio in virtù delle sue origini, giocò per un paio di stagioni nello Slovan Bratislava, e debuttò anche nella nazionale cecoslovacca. In Italia viene notato nel corso di un'amichevole in cui la nostra Nazionale supera i cechi 3-1: si fanno avanti alcune squadre per ingaggiarlo, ma il club chiede troppo e il trasferimento sfuma. Nel 1948 però Kubala accetta un'offerta dal Vasas di Budapest e torna in Ungheria. Se ne pente quasi subito: il regime sta dando un giro di vite e "Laslo" viene inquadrato militarmente nella "Legione Rossa". Ma non tutto il male viene per nuocere, perchè la Legione opera spesso in aree di confine, e così nel marzo del 1949, vestito con una uniforme dell'Armata Rossa, Kubala saluta tutti e se ne va: salta clandestinamente su un camion di esuli in fuga verso Ovest e riesce a passare la frontiera.
Fra mille peripezie arriva a Vienna e quindi in Svizzera, dove viene raggiunto da alcuni dirigenti della Pro Patria, informati della sua presenza oltralpe da fonti confidenziali.
Gli propongono un contratto e lui accetta, sistemandosi momentaneamente a casa del patron bustocco, Peppino Cerana, grande industriale tessile: un colpaccio, se non fosse che proprio in quei giorni la Fifa, su richiesta del Vasas, lo squalifica a vita: scappando infatti Kubala ha infranto il contratto che lo legava ai magiari.
Appare subito evidente che dietro alla squalifica ci sono due diverse forze: la prima è il regime ungherese, che ha mal digerito la fuga del calciatore; la seconda è invece la Juventus, che avrebbe voluto tesserare Kubala e che pare aver poco apprezzato il blitz dei tigrotti.
Cerana rassicura il suo campione: tutto si aggiusterà; Kubala infatti torna ad allenarsi, e il presidentissimo comincia a cercare di ammorbidire la federazione ungherese.Prima regala grandi quantitativi di stoffe e tessuti alla federazione magiara e ai suoi maggiorenti, che accettano il regalo, ma non si commuovono; poi, dopo lunghi colloqui con membri del PCI, ottiene addirittura che Palmiro Togliatti, segretario del partito, metta una buona parola con i suoi colleghi ungheresi. Nulla da fare. 
Kubala ci spera ancora: a Busto ha fatto arrivare la moglie, ha trovato altri due ungheresi fuoriusciti, Turbekey e Viney, e delizia i suoi tifosi in amichevole, formando con il centravanti Antoniotti una coppia che ricorda, per caratteristiche, il duo romanista Totti-Montella. 
A questo punto, però, arriva la beffa: nell'autunno 1949 arriva in Italia il manager del Barcellona Pepe Samiter (il Moggi dell'epoca) che studia attentamente la situazione di Kubala e tornato in patria, grazie ad appoggi governativi (era amico personale del caudillo Francisco Franco), gli procura un passaporto spagnolo; poche settimane dopo, quasi per incanto, la squalifica del giocatore viene ridotta ad un solo anno. Kubala passa al Barcellona, alla Pro Patria vanno 300.000 lire di indennizzo e l'incasso di un'amichevole coi Blaugrana: in ambienti cattolici la chiamerebbero elemosina. 
Kubala a Barcellona diventa un idolo: gioca per 10 stagioni, dal 1951 al 1961, realizzando 131 gol, e vestirà anche la maglia della nazionale spagnola, la sua terza dopo Ungheria e Cecoslovacchia. Ma questa è un'altra storia: peccato non averlo mai visto in campionato in maglia biancoblù: la Pro Patria in quegli anni era davvero forte (lo testimoniano l'ottavo posto del 1947-48 e il clamoroso 5-1 rifilato all'Inter sul prato dello "Speroni"), e Laslo lo zingaro sarebbe stato la ciliegina sulla torta.

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