sabato 28 settembre 2013

"Gioco corto": Viciani e il "tiki-taka" di quarant'anni fa

I veri profeti, sono sempre disarmati. E Corrado Viciani (Bengasi, 3 dicembre 1929) da allenatore non fece eccezione. In fondo, era il primo ad ammetterlo: «I purosangue li hanno gli altri. Io, con rispetto degli asini, ho degli asini come giocatori, non posso permettermi lanci lunghi, invenzioni e fantasie». Non si sa bene come la prendessero loro, gli asini, ma il messaggio era chiaro: bisogna correre tanto e giocare facile. Nasce così il "gioco corto", formuletta ancora oggi utilizzata, che negli anni del marketing delle parole, varrebbe sicuramente al Viciani allenatore dei primi anni Settanta una chance in qualche grande. Non l'hanno forse avuta Orrico e Maifredi?
Nel calcio il "gioco corto", lo sanno quasi tutti, è abbinato ai colori rossoverdi della Ternana, che sotto la guida di Viciani fu la prima squadra umbra a conquistare la promozione dalla B alla A, dove militò per la prima volta nel 1972-73. Per mantenere la categoria non bastò, con il materiale umano a disposizione, un modello di gioco avanti di quarant'anni rispetto all'epoca. A inizio anni Settanta in Italia si giocava a uomo, con lanci lunghi e tanto contropiede. Squadre spalmate su tutto il campo, con molti giocatori a guardia dell'area di rigore e i tre d'attacco (centravanti, e un po' più indietro le due ali) appostati alla trequarti, o al limite dell'area, pronti al capovolgimento di fronte sulla spazzata del libero o dello stopper. Un altro calcio: nè migliore, nè peggiore, ma lontano dalle idee di un allenatore che fu il primo a studiare il modello Ajax, e a plasmarlo secondo il proprio credo. Dagli olandesi mutuò, fra le altre cose, gli allenamenti: serie da 10 ripetute sui 100 metri, palla medica, ostacoli. Ai giocatori non piaceva, avevano mal di gambe cinque giorni a settimana, ma c'era il perchè: non avendo una squadra di alto profilo, per ottenere risultati, bisognava tenere difesa e attacco molto vicine, così da ridurre la distanza dei passaggi. Oggi si direbbe "densità nella propria metà campo": lo fanno tutti, ma quarant'anni fa, mica era così semplice. E per ripartire, restando compatti, "corti" appunto, serviva la corsa, un lavoro di fondo, un ritmo ossessivo che nessun altro proponeva, e che nessun altro proporrà dopo Viciani, fino a Sacchi, vent'anni dopo.
Non basta: c'è il concetto di pressing: aggredire l'avversario, se possibile già sulla trequarti. Lo stesso concetto che oggi va per la maggiore: alzare il baricentro per conquistare palla più vicino alla porta avversaria. Per certi versi, e probabilmente senza che nessuno dei due ne abbia consapevolezza, c'è molto di Viciani e del suo "gioco corto" nel "tiki taka" del Barcellona di Guardiola che per un quinquennio ha dominato l'Europa. Non c'è più il libero, o forse ha solo cambiato pelle, se pensiamo alle caratteristiche del centrale di impostazione che scherma la difesa; il centrale di centrocampo gioca più alto; il primo attaccante, più ancora del centravanti (con Viciani era Iacolino, Guardiola aveva il 'falso nueve' Messi, e basta questo esempio, per capire dove stava la differenza), è l'ala sinistra, che taglia per entrare negli spazi (per le 'fere' il povero Bruno Beatrice, nei blaugrana Sanchez o Villa), con lo spazio sull'estrema che è preso dai laterali di centrocampo (differenza sostanziale è che nel Barcellona le caratteristiche di questi due giocatori erano decisamente più offensive). Paragone ardito? Forse no. Guardate a piè di pagina....
In comune, i due sistemi, avevano anche un'altra cosa: il disorientamento che portavano nell'avversario, ubriacato dal possesso palla ("Finchè l'abbiamo noi, gli altri non segnano", lo diceva per primo proprio Viciani, anche se Liedholm ne fece la propria bandiera) e irretito dalla mancanza di punti di riferimento. Dopo la Ternana, Viciani andò al Palermo: lo portò fino alla finale di Coppa Italia, contro il Bologna, e l'avrebbe probabilmente vinta, se l'arbitro non avesse fischiato, al 91°, un rigore inesistente ai felsinei che consentì a Savoldi di portare la gara ai supplementari e poi ai rigori. A Palermo come a Terni, il "gioco corto" fece le nozze coi fichi secchi. Ma forse, da buon Profeta, Viciani sapeva già come sarebbe andata a finire, sin da settembre, quando li aveva avvertiti tutti: «Come faccio a vincere qualcosa se ho la squadra più abbronzata d'Italia?».



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