sabato 9 marzo 2013

Lalas: il pallone, due anfibi e una chitarra


Pel di carota, baffi e pizzetto alla Kit Carson, una lunga criniera di capelli e un'andatura dinoccolata, le camicie grunge e la chitarra acustica. Il pallone, per Panayotis Alexander ("Alexi") Lalas (Birmingham, Michigan, 1 giugno 1970), veniva dopo; forse era il primo a non prendere troppo sul serio il proprio essere calciatore. Sarà stata quell'aria da universitario in gita, a metà fra l'intellettuale alternativo di Berkeley e il reduce da Woodstock, fatto sta che inizialmente in pochi lo presero sul serio anche da noi, quando lo videro giocare in nazionale ai Mondiali di USA 1994. Lalas ha 23 anni, piedi così così, perchè la tecnica non la insegnano nè al Cranbrook College, dove ha conosciuto il calcio, nè alla Rutgers University, dove ha continuato a praticarlo, ma ha anche una fisicità impressionante, dall'altro dei suoi 191 cm. Fa la sua figura nella squadra a stelle e strisce eliminata agli ottavi dal Brasile, e gli annullano anche un gol, forse regolare, nella partita con la Colombia. Soprattutto, costa poco (400 milioni) e tanto basta al Padova neopromosso in serie A, del presidente Sergio Giordani, per arruolarlo. We need you, Alexi. Mission impossible, salvarsi con una squadra composta da elementi di categoria inferiore: i pezzi pregiati sono un giovanissimo Stefano Fiore, due attaccanti di belle speranze come Nick Amoruso e Vlaovic, il terzino di lungo corso Gabrieli, ed il geometra di centrocampo Nunziata. Fate voi. 
Con la faccia allegra dell'americano in gita, Pecos Bill risponde all'appello, e diventa l'icona della squadra. Due mesi di ambientamento, poi prende le misure al campionato e si concede anche qualche sfizio, infilando un gol all'Inter e uno al Milan, in un 2-0 all'Euganeo che vale tantissimo, contro la squadra che all'epoca è campione d'Europa. Di lui (e incidentalmente del Padova) parlano anche negli altri continenti: ad intervistarlo arriva persino un giornalista del Bangladesh.
Intanto, in città è popolarissimo: i carabinieri passano spesso da casa sua, perchè i vicini non apprezzano le sue performance alla chitarra nelle ore notturne (molto gradite, però, a un vasto e variegato pubblico femminile, a quanto pare). Ma sono i vicini a non capire granchè di musica, perchè Alexi con la chitarra se la cava eccome, tanto che una domenica sera riscuote applausi in diretta nazionale, con una performance unplugged a "La Domenica Sportiva".
Diventa una celebrità, ma la celebrità non lo cambia. In primavera, è facile vederlo passeggiare tutto dinoccolato sotto i portici del centro con Bermuda e anfibi "Dr.Martens", oppure concedersi una Pepsi in qualche bar, con occhiali scuri rotondi in stile John Lennon sul naso anche in piena notte.
Il Padova, incredibilmente, si salva. Purtroppo non ripeterà il miracolo l'anno dopo: i patavini infilano una sconfitta dietro l'altra e precipitano verso la retrocessione; Lalas lotta, cerca di fare quadrato con la squadra, all'Euganeo fa a pezzi con le sue mani uno striscione che denigra il suo compagno Galderisi; le sue prestazioni sono quasi sempre più che sufficienti, ma non bastano per evitare la B, e convincerlo che è tempo di porre fine al suo periodo italiano.
Con le lacrime agli occhi, annuncia l'addio al presidente Giordani, faccia a faccia, nello studio del patron. A metà del colloquio si toglie uno degli anfibi, ci scrive sopra una dedica con l'indelebile e lo regala al presidente.  Torna negli States, gioca un anno nei New England Revolution, poi tenta un'altra avventura in Ecuador, all'Emelec Guayaquil, ma lì nelle strade non si può girare tranquilli come sotto i portici di Padova, e se ai vicini non piace come suoni, c'è anche caso che ti sparino contro la finestra di casa: meglio tornare a New York, stavolta coi Metrostars. Entra nella rosa per i Mondiali di Francia, ma non è in gran forma e non gioca nemmeno una partita; chiude con la Nazionale con 96 presenze e 9 gol e imbocca il viale del tramonto, giocando ancora con Kansas City Wizards e Los Angeles Galaxy. Nel 2003 appende gli scarpini, taglia la barba e i capelli e si infila dietro una scrivania: diventa infatti prima commentatore di calcio per la Nbc e per alcune radio americane, e poi dirigente, prima ai San Josè Earthquakes, quindi ai Metrostars (poi diventati New York Red Bulls); infine, passa ai Los Angeles Galaxy, dove da general manager è il maggiore artefice dell'ingaggio di David Beckham. Viene licenziato per divergenze col proprietario nell'agosto 2008. Torna allora a fare il commentatore e intanto riprende a suonare: dopo avere partecipato come supporto a uno dei concerti degli Hootie and the Blowfish nel 1998, incide prima un album solista ("Ginger") e quindi un secondo album "downloadable only", dal titolo "So it goes", nel settembre 2010.
Fra un post per la Tequila Jamador, un programma radiofonico e un articolo su qualche giornale, sbarca il lunario con la stessa aria disincantata dei suoi 23 anni. Resta l'unico giocatore ad avere una biografia su All Music. E una scarpa ancora oggi esposta e tenuta come una reliquia sulla libreria personale del suo ex presidente.

Nessun commento:

Posta un commento