sabato 2 febbraio 2013

Zeman: la brutta fine di un boemo borioso

Se fosse successo ai loro tempi, sono certo che Cochi e Renato gli avrebbero sicuramente dedicato almeno una strofa della loro immortale "Pulipulipù....". Chi avrebbe mai detto, nello scorso agosto, che Zdenek Zeman (Praga, 12 maggio 1947) non avrebbe mangiato la colomba pasquale alla Roma? Eppure, ad una analisi fattuale, il suo esonero, oggettivamente difficile da pronosticare, mi sembra uno dei più meritati negli ultimi vent'anni di calcio di serie A. Non voglio assolvere i giocatori: in campo ci vanno loro, ma penso che il fallimento di Zeman sia stato assoluto e totale, visto che in tutti e tre gli ambiti in cui un tecnico può influire sulla squadra, il suo apporto è stato tra l'insufficiente e il pessimo. Le categorie su cui (con un criterio molto personale e quindi estremamente opinabile) baso la mia valutazione di un allenatore sono, in ordine di importanza, la competenza tattica, la gestione dello spogliatoio e la valutazione dell'abilità dei singoli giocatori, da cui discende la selezione dell'undici titolare, della panchina e la gestione dei cambi. Ci sarebbe anche, a dire la verità, un quarto ambito, quello della preparazione atletica, che però da molti anni ogni allenatore è solito delegare al proprio staff di collaboratori. Se però, per onestà intellettuale, vogliamo considerare questo come un settore su cui Zeman ha influenza (e penso ne abbia più della media degli allenatori, nella scelta delle metodologie e dei carichi di lavoro), allora forse questo è l'unico aspetto in cui il boemo merita da parte mia una sufficienza abbondante: la sua Roma fisicamente sta bene e anzi alcuni giocatori, maximae capitan Totti, ne hanno molto beneficiato.
Sul piano tattico: male, pur concedendo qualche cosa alla presenza dello stesso Totti nell'organizzazione del gioco d'attacco (meno ricerca, rispetto al suo classico calcio, del triangolo veloce a liberare l'ala sinistra, meno richieste di movimento a rotazione delle punte, maggiore coinvolgimento dei due centrali intermedi, laddove un tempo, da Di Biagio fino a Verratti, il centrocampista centrale di centro era sempre stato il suo maggior facitore di gioco), Zeman ha proposto il suo solito calcio difensivo: un non-calcio difensivo. Il calcio si compone di due fasi: quando si ha la palla e quando la si deve recuperare; nella prima, Zeman è un maestro riconosciuto a livello mondiale; nella seconda, uno scolaro svogliato che in tanti anni non ha mai mandato a memoria una lezione che sia una. Quanti gol ha preso, la sua Roma, nello stesso modo, sul movimento a inversione di corsa delle punte e sulla distribuzione, vecchia come Noè, "palla avanti-palla dietro-palla avanti"? Conte e la sua Juve, a Torino, e poi Mazzarri e il Napoli al San Paolo, lo hanno ridicolizzato 4-1, la squadra ha preso tre gol in casa con l'Udinese, poi altrettanti a Parma, un altro tris nel derby con la Lazio, fino alla magra finale con il Cagliari. In tutto questo, Zeman non ha mai cambiato atteggiamento difensivo.
Gestione dello spogliatoio: peggio che male. De Rossi (non proprio l'urtima rota der caro, a Roma) è stato emarginato come un appestato dopo le critiche (che a mio parere volevano essere anche autocritiche) esternate dopo l'1-4 di Torino contro la Juventus. Altri allenatori al martedì avrebbero preso da parte il vicecapitano (uno che, per intenderci, quest'estate ha scelto di restare a Roma quando mezza Europa lo voleva e lo avrebbe coperto d'oro) e avrebbero preso quel suo avvertimento come un invito costruttivo a valutare accorgimenti. Era la sesta giornata: sono sicuro che le critiche di De Rossi erano orientate a dare una svolta positiva alla stagione. Anzichè ascoltarlo, Zeman lo ha sempre più marginalizzato nel suo progetto tattico, arrivando a preferirgli, ogni volta che è stato possibile, il mediocre Tachsidis. Altri problemi sono sorti con Stekelemburg, portiere vicecampione del mondo, forse non fra i primi 10 del ruolo ma certamente affidabile, la cui titolarità è stata messa prima in dubbio e poi cancellata. Anche Destro, centravanti di sicuro avvenire, è stato messo ai margini senza troppi complimenti; screzi sono emersi, qua e là, con Pjanic, Osvaldo e Lamela. Non che avesse sempre torto, il boemo, ma le incomprensioni erano sopra la quota del fisiologico.
Infine, valutazione dei giocatori e scelta della formazione titolare: peggio ancora.
Fra i pali a Stekelemburg è stato preferito il mediocre Goycoechea; a centrocampo, Tachsidis al posto di De Rossi; in difesa, insistenza continua su Piris, giocatore sicuramente non all'altezza della serie A. Tutto senza ripensamenti. Eppure, a fronte di una squadra che certamente stava rendendo al di sotto delle sue possibilità, chiunque avrebbe tentato di cambiare rotta. Il proverbio dice: "Solo gli stolti non cambiano idea".
In fondo, però, da diversi anni, exploit di Pescara a parte, Zeman rende il massimo nelle conferenze stampa più che sulla panchina. Anche quest'anno ha tirato fuori tutto il repertorio: attacchi alla Juve anche quando non c'entrava niente, frasi decisamente fuori luogo prima su Abete e poi sul sistema, una stretta di mano negata a Ciro Ferrara, risse verbali coi giocatori (memorabile il "Non si è integrato con la squadra" rivolto a De Rossi. Che è alla Roma da quando è nato), fino alle ultime uscite contro la sua stessa dirigenza.
La sensazione è quella di un allenatore che, a 65 anni, è ancorato a una versione del calcio che seppure molto modernista non è più al passo con i tempi (oggi si pressa sempre più in alto, per cercare di conquistare palla nella trequarti avversaria: una difesa sempre sguarnita come le sue è esposta a troppi spifferi); è un uomo borioso, inacidito dagli anni, irridigito nelle posizioni, incatenato nelle sue dichiarazioni alla sua immagine di 'spirito libero', 'picconatore del sistema', 'diverso a prescindere'. Un finto alternativo di 65 anni, attuale come un hippy trent'anni dopo il Sessantotto, e vincente in tutta la carriera quanto Carrera (allenatore 'in terza' dell'odiata Juventus) in una partita. Sono dati che messi uno sull'altro certificano l'ennesimo fallimento di un tecnico che, quasi certamente, non avrà più un'altra chance ai massimi livelli.
Chiusura con una considerazione: quanto vale davvero questa Roma? Personalmente ritengo che, allenata da una persona normale da inizio campionato, la squadra poteva valere dal terzo al quinto posto: solo Juve e Napoli mi sembrano davvero più forti. Forse il Milan uscito dal mercato di gennaio. Con Lazio e Fiorentina potrebbe, per organico, giocarsela. Invece, sta facendo peggio di un anno fa con Luis Enrique, e anche un nuovo allenatore dovrà ripartire da zero: difficile aggiustare la stagione.

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