venerdì 11 gennaio 2013

Frank Barson, il più duro dei duri

Al suo confronto, Pasquale Bruno farebbe la figura della checca, e Roy Keane, uno di cui persino Sir Alex Ferguson aveva una certa soggezione, potrebbe essere utilizzato come role-model per i giovani della academy.
Ma non si possono fare paragoni fra giocatori di epoche tanto diverse, ed è solo questo che ci impedisce di eleggere Frank Barson (Grimesthorpe, 10 aprile 1891 - Winson Green, 13 settembre 1968) come il più duro giocatore di ogni epoca.
In compenso, per onestà critica, dobbiamo però aggiungere che gli indizi al riguardo ci sono tutti, a cominciare dalla storia personale e dalle frequentazioni: nato in un sobborgo operaio di Sheffield (non proprio l'area più raffinata di Inghilterra), era il terzo di sei fratelli. Non altissimo, fisicamente compatto, quando non giocava a calcio (ruolo: centre-half) la sua occupazione era la produzione di cerchi di ferro per botti. Si dice, e ci crediamo, che potesse piegare a mani nude barre da 75 pound (circa 28 chili). Uomo di poche parole, non si vergognò mai di avere avuto tra i suoi amici i fratelli Fowler, Wilfred e Lawrence, che negli anni Venti furono poi impiccati per omicidio (questo è un blog di calcio, ma se vi interessa potete scoprirne qualcosa di più qui). In gioventù erano compagni di bevute e di bravate, e forse anche l'età adulta li avrebbe visti insieme, se non fosse che Barson era anche un ottimo giocatore di calcio: palla o gamba, era difficile che gli sfuggisse qualcosa fino ai quaranta centimetri da terra. Comincia con il Cammell Laird FC e poi diventa professionista nel 1911 col Barnsley, e proprio ad Oakwell si fa conoscere per le sue doti diciamo 'paraagonistiche': prima ancora di debuttare ufficialmente, si becca due mesi di squalifica per una rissa in campo in amichevole con alcuni giocatori del Birmingham City. Due li manda all'ospedale. Motivazione: "Uno di loro mi ha detto che la mia faccia era brutta. Pensando che avesse ragione, ho cercato di peggiorare la sua". Due anni dopo, a Liverpool, serve la forza pubblica per scortarlo fuori da Goodison Park, per evitargli un faccia a faccia con un centinaio di tifosi che volevano discutere del suo comportamento in campo nella sfida contro l'Everton ("ma me la sarei cavata benissimo da solo"). Lascia il Barnsley dopo una furibonda lite con un dirigente, che gli era debitore di alcune indennità per le trasferte: Barson risolve il contenzioso mostrando elegantemente una pistola, ottiene il dovuto, ma gli viene intimato di lasciare la squadra.
Lo ingaggia l'Aston Villa, anche se gli inizi sono poco incoraggianti: Barson ha ancora la sua bottega a Sheffield e non intende trasferirsi a Birmigham nonostante le pressioni dei dirigenti. In squadra, comunque, diventa quasi subito capitano: l'ex skipper Andy Ducat si ritira e lui si fa avanti: "La fascia la prendo io, ma se qualcuno ha qualcosa in contrario, ne possiamo discutere". Nessuno discute. Nella prima uscita da capitano, contro lo Sheffield United, segna con un colpo di testa da trenta yard (un dato che, coi palloni che si usavano nel 1919, testimonia la solidità del suo cranio). Con i Villans, vince l'unico trofeo della sua carriera, la FA Cup del 1920. Prima della finale, l'arbitro Jack Howcroft, preoccupato per la sua presenza in campo, lo ammonisce preventivamente in spogliatoio: "Barson, the first move, off you go". Sullo slancio per la vittoria in FA Cup, ottiene anche la sua unica presenza in Nazionale.
Nel 1922 si trasferisce al Manchester United, all'epoca in seconda divisione, dove diventa subito capitano (senza aneddoti, pare) e resta per sei anni, battendo ogni record di espulsioni, ma anche diventando un idolo dei tifosi. Nel 1924-'25 guida la squadra alla promozione, e i dirigenti lo ricompensano regalandogli la gestione di un piccolo pub in centro, ma il lavoro non fa per lui, e dopo la serata inaugurale, regala la licenza al suo capo-cameriere. "Al pub ci entro per bere io, non per servire gli altri".
Nel 1928 passa infine al Watford, dove diventa subito un'icona: durante una partita contro il Fulham, scalcia così violentemente l'avversario Temple da spezzargli tre ossa, una per il trauma, due per il contraccolpo. Prende sei mesi di squalifica, ma il presidente Kilby lo difende: "L'anno scorso un giocatore è stato fermato per tre mesi dopo aver scalciato un arbitro: la pena è sproporzionata, falli come quello di Barson sono normali eventi di gioco". Stranamente, non gli credono.
La carriera di Barson è alla fine: nel 1929 lascia il Watford per l'Hartlepool, quindi passa al Wigan Borough, dove giochicchia fino ai 39 anni. Lascia nel modo migliore: nella sua ultima partita, (Boxing Day del 1930) contro l'Accringston Stanley, viene espulso all'83°, naturalmente per gioco violento.

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