domenica 18 novembre 2012

Undici - Il portiere

Per arrivare a undici, non si può che partire da uno. Uno come il portiere, ruolo mitico, che per quanto riguarda le emozioni è fra quelli che più concede al pubblico. La porta si può difendere in tanti modi, con sobrietà e senso del piazzamento o con balzi agili e repentini, e non deve stupire che fra i più grandi specialisti del ruolo, pazzoidi, acrobati e elementi pragmatici si dividano abbastanza equamente la scena. Prima di parlare degli undici eletti, i portieri che mi hanno emozionato di più, qualche citazione per alcuni soggetti 'fuori classifica', come il bulgaro Mihailov, elegante testimonial di trapianti tricologici, o il suo collega messicano Jorge Campos, dalle magliette sgargianti.  E poi quelli bravi: il tedesco Schumacher, il belga Preud'Homme, lo svedese Thomas Ravelli e il danese Schmeichel. Più bravi, sicuramente, anche di qualcuno di quelli qua sotto, e infatti l'elenco non tiene conto solo della bravura.


11 - Claudio Garella (1955). Al diavolo lo stile: per il portiere l'importante è parare, e lui parava, anche se in modo poco ortodosso. Di piede, di scapola, di sedere (gli capitò in un Verona-Udinese), persino in rovesciata (Udinese-Cremonese, quando giocava coi friulani). Portiere istintivo e dai grandi mezzi fisici, nella fase centrale della carriera era quasi insuperabile; all'inizio e alla fine, abbastanza un colabrodo, ma era bello vederlo giocare: non sapevi mai cosa sarebbe capitato. Per i tifosi laziali, che lo avevano visto fra i pali da giovane, con esiti non ottimali, era "Paperella". Per i tifosi di Verona e Napoli, con cui ha vinto due scudetti che ne valgono 25, "Garellik". Oggi vivacchia da dirigente nell'hinterland torinese, e i suoi 80 chili di peso forma sono, a giudicare dalle immagini, raddoppiati.

10 - Bruce Grobbelaar (1957). Un palmares invidiabile per un portiere improbabile. Grobbelaar da giovane era giocatore di cricket. Poi sembrava destinato al baseball., ma voleva fermamente giocare a calcio, e questo, quando nasci nello Zimbabwe, non è proprio la norma. Ci prova prima in sudafrica, al Durban City, ma lo lascia lamentando di essere (sic) discriminato perchè unico bianco della squadra. Nel 1979 va a giocare in Canada, ai Vancouver Whitecaps, e viene segnalato al Crewe Alexandra da dove passa al Liverpool. 13 anni e 412 presenze coi 'reds', fra meningiti, cause legali al "Sun" e accuse di truccare le partite. Poi continua a giocare fino al 2002, ma è già nel mito dal 1984: nella finale di Coppa Campioni, all'Olimpico, strizza l'occhio ai fotografi e barcolla con gli "spaghetti legs", ipnotizzando Conti e Graziani. Un genio.

9 - Giulio Nuciari (1960). Portiere emozionante, specie per i suoi tifosi. In 17 anni di carriera, in serie A ha giocato solo 17 volte. E a pensarci bene sembrano molte di più, forse perchè in quasi tutte ha fornito materiale per gli show della Gialappa's Band. Milan, Monza e Samp nella sua carriera di dodicesimo delegato all'ascolto della radiolina, e tanti momenti da tramandare alla storia. Meraviglioso quello di Foggia, stagione 1992-93:al 3° Lanna passa indietro verso Nuciari. Il portiere carica il destro per il rilancio ma trova solo l’aria. Kolyvanov è a pochi passi, guarda incredulo il portiere e appoggia in porta per l’1-0. I giornali infieriscono: "Senza l'incidente a Pagliuca (out dopo uno scontro in autostrada, ndr) la Samp sarebbe già in Europa". Ingenerosi: come si fa a non amare un portiere capace di queste prodezze? Anzi, meriterebbe proprio un post tutto per lui...

8 - Rinat Dasaev (1957). Pelè lo ha inserito fra i 'top 100' di ogni epoca e per almeno 8 anni, fra il 1982 e il 1990, viene indicato fra i primi tre portieri al mondo per rendimento. In realtà, pur difendendo la rete dell'URSS per 91 partite, per la maggior parte senza commettere errori, Dasaev uscirà prematuramente di scena, più che altro per responsabilità dei compagni, in tutti gli appuntamenti internazionali: Mondiali '82, Mondiali '86, Euro '88, Mondiali '90. Straordinario per stile e riflessi, era carente in uscita bassa, e per tutta la sua carriera continuerà a prendere gol sostanzialmente identici fra loro. Ma nel mio 'Valhalla' calcistico, Dasaev era una figura rassicurante, un portiere insuperabile, dallo sguardo impenetrabile a difesa di una nazionale capace di giocare un calcio d'avanguardia, espressione di un Paese granitico. L'unico capace di competere con Zoff; ai miei occhi di bambino, naturalmente..

7 - Peter Shilton (1949). Stilisticamente non era il mio ideale di portiere. Però credo di avere una cosa in comune con lui: l'amore per il calcio. Non si spiega altrimenti la sua scelta di prolungare ben oltre la norma la sua carriera, che è durata più di 30 anni, dal debutto nel 1966-67 col Leicester, fino al 1997, quando ha difeso (da fermo, suppongo) i pali del Leyton Orient in Third Division. in tutto, 1143 partite ufficiali da professionista (record mondiale), di cui 125 con la nazionale inglese. Ha giocato con Bobby Moore, Kevin Keegan, Glenn Hoddle, fino a Paul Gascoigne; ha preso gol da Eusebio, Pelè, Maradona, Zico. Ha attraversato la storia del calcio coprendosi d'oro e poi, da buon 'english player', ha dilapidato tutto in due anni, fra speculazioni sbagliate e gioco d'azzardo. Oggi si guadagna da vivere facendo il conferenziere. Se volete ingaggiarlo per una serata, questo è il suo sito: pare sia un conversatore brillante.

6 - Pat Jennings (1945). Più che un portiere, un simbolo per un intero Paese. E se consideriamo che il Paese in questione, l'Irlanda del Nord, esiste solo calcisticamente, forse è più semplice capire perchè 'Big Pat' era così amato dai suoi tifosi. Sia in campo (indossando, col suo club, una maglia verde molto particolare) che fuori dai pali, rivendicava il suo essere "northern irish" in un'epoca in cui c'era chi, anzichè con le parate, lo faceva sparando, o peggio. Dotato di riflessi prodigiosi, Jennings ha condotto l'Irlanda del Nord a due fasi finali dei Mondiali (evento forse irripetibile) e dopo mille parate impressionanti, ha concluso la carriera a Mexico '86, giocando la sua ultima partita contro il Brasile, proprio nel giorno del suo quarantunesimo compleanno. Sulle tribune, 2000 tifosi venuti dall'Irlanda del Nord a cantargli "Happy Birthday, Big Pat". Mito.

5 - Jean-Marie Pfaff. (1953) "Jetz bin Ich ein Bayer", "ora sono un bavarese", cantava Jean-Marie Pfaff in questo disco all'inizio degli anni Ottanta, dimostrando di essere decisamente meglio come portiere. In effetti, aveva qualità sopra la media, ma soprattutto era la dimostrazione vivente del luogo comune secondo cui, per fare i portieri, bisogna essere un po' matti. Memorabile la sua zingarata ai Mondiali 1982, quando per movimentare il ritiro, si fa ritrovare dal tecnico Guy Thys (non proprio un mattacchione) a faccia in giù nella piscina dell'hotel simulando un annegamento (sic). Per questo viene escluso dalle gare della seconda fase a favore di Custers e Munaron. Famoso per avere portato al successo il "clap-cap" (cappellino su cui erano poste due mani che, tirando un filo, applaudivano. Oggi è automatizzato a pile), finita la carriera diventa un 'must-have' in tutte le partite di beneficenza. Si dà anche alla TV apparendo in una reality serie belga dal titolo "The Pfaffs", che riprende la vita quotidiana della sua famiglia, e nel 2003 fa il 20% di share. Con lui, evidentemente, non ci si annoia mai.

4 - Thomas N'Kono (1956). Gigi Buffon, non esattamente un nesci qualsiasi, ha dato il suo nome al proprio figlio, in segno di rispetto verso il suo idolo d'infanzia. Thomas N'Kono per gli italiani tutti è associato soprattutto ai Mondiali di Spagna 1982, ma i ricordi in questo caso sono riduttivi. Primo portiere africano a giocare in Europa, difese la porta dei Leoni Indomabili anche a Italia '90, dove il Camerun arrivò fino ai quarti di finale, e fu due volte miglior giocatore africano. Pare che in assoluto la sua annata migliore sia stata il 1979, ma ritrovare filmati camerunesi di quell'anno sembra impossibile, per cui tanto vale credere a quanto riportato dalla tradizione orale. Portiere dalle movenze feline, è sempre rimasto un grande amante del gioco del calcio, ha accettato di chiudere la carriera addirittura in Bolivia, al Bolivar La Paz, "perchè avevo sempre sognato di giocare in Sud America almeno una volta". In prima fila in numerosi progetti di sviluppo, è rimasto nel calcio con diversi incarichi per l'Espanyol e la Nazionale camerunense, nonostante una piccola disavventura legata agli amuleti...

3 - Renè Higuita (1966). Un pazzo, anzi, un loco, come si dice da quelle parti. Uno degli elementi portanti della favolosa Colombia degli anni Novanta, è stato il capostipite dei portieri-goleador, e ancora oggi è il terzo miglior realizzatore fra gli estremi difensori, con 48 gol in carriera, dietro Rogerio Ceni (100) e Josè Chilavert (71). Viene ricordato per la paperissima che vale a Milla il gol del 2-0 nell'ottavo di finale contro il Camerun a Italia '90, ma soprattutto per il "colpo dello scorpione", effettuato anche a Wembley in amichevole contro l'Inghilterra (ma a gioco fermo) e diverse volte nella serie A colombiana (anche a partita regolarmente in corso), che da solo vale il podio in questa classifica. Fra guai con la giustizia (3 soggiorni in carcere), amicizie fra i narcos e ritorni in campo (l'ultimo a 41 anni col Deportivo Pereira) continua a stupire anche dopo il ritiro. Ha partecipato a due 'reality' colombiani: nel primo, "L'isola dei pirati", una specie di "Isola dei famosi" molto più vera, con tanto di serpenti velenosi, è arrivato in finale, ma è stato battuto dall'ex compagno di squadra Leonel Alvarez. Nel secondo, "El cambio extremo", si è sottoposto a ben 4 operazioni di plastica facciale, rinunciando per sempre a riccioli, baffoni e espressione allucinata, con risultati, oggettivamente, rassicuranti.

2 - Gianluigi Buffon (1978). Se posso, in questo tipo di carrellata, i giocatori in attività preferisco evitarli. Ma ci sono due o tre casi che non si possono ignorare. Buffon è fra questi: fra cronaca e storia (del calcio) un posto bisogna trovarglielo. Portiere straordinario (fra quelli che ho visto il migliore per mix fra doti naturali e qualità acquisite), vede le sue qualità tecniche e atletiche unanimemente riconosciute. Con l'avanzare degli anni ha perso qualcosa della sua esplosività iniziale, a vantaggio del piazzamento. Sul lato umano, forse per il gusto per la scommessa (diciamo la verità, Gigi, firmare quel contratto con Pokerstars nel 2009 non è stata una genialata), forse per la parata oltre la linea su Muntari e le dichiarazioni successive, forse semplicemente per la maglia che indossa, non troppo simpatica a metà degli italiani, è più discusso, e vale la pena, dopo averlo conosciuto anni fa, e avere parlato con diverse persone che lo frequentano spesso, spezzare una lancia per un atleta che sul piano umano paga solo l'eccessiva spontaneità unita a una certa esuberanza. Di lui ha detto un collega più famoso: "Se c'è qualcosa che sarebbe meglio non dire, puoi contarci che gli scapperà dalla bocca". All'apice della carriera (28 anni e un titolo mondiale in saccoccia) accetta di restare alla Juventus appena retrocessa a tavolino in B nonostante la corte serrata di almeno altri dieci club di livello europeo disposti a firmargli contratti in bianco: con tutto il rispetto per i suoi detrattori, una scelta di alto livello etico-sportivo. Forse sarebbe bene dimenticarsi della sua juventinità e ricordarsi che si tratta di un patrimonio sportivo nazionale.

1 - Dino Zoff (1942). Giù il cappello davanti ad un mito del calcio mondiale. Sono diventato juventino a 6 anni, e lui ne aveva già quasi 39. Sembrava eterno e dava sicurezza: dopo i Mondiali 1982 ho pensato che avrebbe giocato fino a 60 anni. Invece ha smesso, dopo Atene e quel tiraccio di Magath. Lì per lì ho pensato che non volesse sentirsi ripetere, ancora una volta, certe critiche sulle sue presunte diottrie. Invece ho capito che il motivo era un altro: sapeva che per un'altra finale di Coppa Campioni ci sarebbero voluti almeno due anni, e temeva di non poterci arrivare al top. Chiamò i giornalisti e se la cavò in trenta secondi. D'altra parte non era un tipo di molte parole. "Lascio, ma ci tengo a dire, e spero che lo scriviate, che il motore è ancora buono, e potrei andare avanti ancora un po'".
Su di lui come portiere, non posso aggiungere niente che non sia già stato scritto: la parata su Oscar, ogni volta che la vedo, mi sembra sempre più prodigiosa, ma è solo un estratto di una preziosa collezione, costruita anzitutto sulla linearità, sul piazzamento. Era poco spettacolare, ma molto efficace ("Non vedo perchè dovrei saltare da una parte all'altra della porta per prendere un tiro su cui posso arrivare posizionandomi bene prima. I salti e le capriole si fanno se sono necessari, non siamo mica al circo"), e soprattutto era ed è un uomo serio.  San Dino, SuperDino, Dinomito: i soprannomi e gli appellativi per lui si sono sprecati, ma li ha sempre presi con il giusto distacco, così come le critiche. Era un portiere di poche parole (qui una rarissima intervista lunga), e quando poteva le lasciava agli altri: preferiva i fatti, e come ho visto parare lui, non ho ancora visto nessun altro.

(1 - Continua)

1 commento:

  1. Migliori portieri del mondo!
    Abbiamo davvero difficile da dimenticare loro;
    Abbiamo sempre il tifo per le loro competenze;

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